Tonelli, Labatut / su e giù per il tempo

Guido Tonelli, Tempo. Il sogno di uccidere Chrónos, Feltrinelli, pp. 190, euro 17,00 stampa, euro 11,99 epub
Benjamín Labatut, Quando abbiamo smesso di capire il mondo, tr. Lisa Topi, Adelphi, pp. 180, euro 18,00 stampa, euro 9,99 epub

Guido Tonelli conosce il modo di percorrere le strade tracciate dalla scienza e dall’arte, l’intreccio di discipline e di conseguenze che il mito ha introdotto nella mente umana – i mutamenti, lo sviluppo hanno avuto dinamiche ora sonnolente ora esplosive, nel corso dei millenni, spesso sconvolgendo equilibri e proporzioni fino a quel momento date per scontate. Lo scienziato del Cern di Ginevra, uno dei padri della scoperta del bosone di Higgs, nel 2019 aveva incantato non pochi lettori col suo Genesi, il racconto delle origini esteso dalle profondità del pensiero umano più antico alle ben più vaste e fantastiche profondità misteriose in cui il vuoto era l’unico principio. Quando non c’era traccia di massa e energia, e dunque anche il tempo era fuori scena.

La sua capacità d’intrecciare recenti acquisizioni e teorie della fisica agli ordini di grandezza poetici, filosofici e artistici da che noi bipedi calchiamo il suolo del pianeta, aumenta anno dopo anno e entusiasma almeno quanto quelle trottole prese a esempio di simmetrie geometriche pressoché perfette e inducenti magiche rotazioni. Questo gioco dei moti periodici, attraente i bambini, a cui il tempo si lega per gli adulti secondo lo svolgersi visibile del giorno e delle stagioni, della rotazione dei pianeti e degli astri, dà il via alla grande visione di Tonelli dispiegata in questo nuovo saggio divulgativo. Quando, sia chiaro, il termine “divulgazione” è sinonimo di prodezza, fervore, e gran fioritura di sincerità didattica lontana da trastulli stravaganti.

Tonelli ci spiega come i cicli vitali degli esseri viventi, insetti compresi, non possano fare a meno del tempo, e come ogni singola cellula del nostro corpo segua sequenze temporali precise e ripetute. Ma è bene sapere quanto il senso del presente non sia che un artefatto complicato ma che facilita la vita quotidiana. La cavalcata lungo i secoli fa capire come ogni civiltà abbia sviluppato sia i propri miti sia le proprie relazioni, mentali e meccaniche (attraverso strumenti primordiali e più o meno sofisticati) col tempo. Ma il tempo assoluto di Newton, pur funzionando bene in una società che desiderava sincronizzarsi col suo avanzamento, è crollato nei primi anni del Novecento, quando una schiera di geni, da Einstein in avanti, ha dato vita a una serie di equazioni che lasciando sbigottiti hanno liquefatto il tempo. Massa, energia e velocità della luce, unite a dimostrare in quale modo nessun evento sarà mai contemporaneo a un altro, dipendendo tutto dallo stato dell’osservatore. L’universo visibile? una straordinaria macchina del tempo. Contenente quegli oggetti, previsti e poi dimostrati, dove le leggi fisiche locali cessano di esistere: i buchi neri, tanto densi da curvare lo spazio-tempo in modo così elevato da intrappolare perfino la luce.

Tonelli nulla tralascia lungo il corso della sua indagine, storia, mito e leggende, la terribile esperienza che sta attraversando il mondo a causa della pandemia di Covid-19, poiché l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo s’incontrano lungo l’intero secolo scorso e ancora continuano (anche in modo drammatico) nell’attuale. I capitoli di Tempo racchiudono soprese scientifiche e emozionali, ci permettono di navigare nelle strettoie del Modello Standard, risposta moderna all’antichissima questione relativa ai costituenti fondamentali della materia. La sua incompletezza spinge scienziati teorici e sperimentali a discutere, calcolare e spingersi oltre le frontiere tecnologiche. Sorprende non poco scoprire come lo sguardo di Tonelli entri spesso nel mondo dell’Olimpo greco oltre che nelle ben conosciute aree dell’acceleratore di particelle Lhc: ma ben presto ci si accorge come il pensiero degli antichi sia adeso alla parte più profonda dell’attuale cultura, alle profondità della psiche umana. Amiamo gli scienziati che, al pari di Tonelli (e sono rari), avvicinano la perfezione ineguagliata dell’Infinito leopardiano lasciandola intatta accanto all’altrettanto meraviglioso affresco delle equazioni di Einstein e Dirac.

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La scienza indispettisce, la scienza ha grandi fatti (e qualche misfatto, per lo più proveniente da proseliti disturbati) dietro le quinte, meraviglie e stravaganze, e una buona dose di casualità apparenti che invece sono la chiave di volta di quanto un tempo definivamo “le meraviglie del possibile”. Già, il tempo. Quasi un intero secolo, quasi centinaia di depressioni fa, politiche, economiche, belliche, pandemiche. La ricostruzione di passaggi, eventi, scoperte, invenzioni, non sembra alla portata di tutti, nemmeno a coloro che sono stati protagonisti delle discussioni scientifiche. Ma la via seguita da Benjamín Labatut ha tutt’altra passione e intricatezza, proprio come l’avvilupparsi in sé stesso del cervello umano e il carattere corpuscolar-ondoso della realtà.

Il problema del tempo sta lì, e mette a dura prova ogni tentativo di comprensione del mondo. Vi piace il blu di Prussia in arte? Sappiate che la sua invenzione incrocia quella del cianuro adorato dai nazisti come veleno sterminatore di un intero popolo. L’iprite, vettore di stragi in epoca di prima guerra mondiale, è inventata da colui che vinse il Nobel per i suoi studi sull’estrazione dell’azoto a vantaggio di nuovi fertilizzanti. Un ufficiale dell’esercito tedesco trovò la soluzione a certe equazioni di Einstein riguardanti la relatività generale. Dentro a queste storie alligna la malattia, sempre: del corpo e della storia. Sembra che accanto al raggiungimento di certe vette della mente umana non si possa evitare la presenza nera e concupiscente della morte. Labatut in ogni capitolo ci sorprende descrivendo la brutalità diffusa dal mondo negli angoli del sapere, là dove un singolo uomo ha per la prima volta un pensiero destinato a cambiare volto alla scienza e al quotidiano di tutti. E quando in un precoce autunno del 1927 una schiera di fisici mai visti prima, concentrazione leggendaria di geni, iniziarono a litigare avendo di mira onde e particelle sempre più misteriose allo sguardo (si fa per dire), un intollerante Einstein rifiutò quella nebbia quantistica aleggiante sulla cosiddetta “Interpretazione di Copenaghen”: la folle idea di Heinsenberg e Bohr che asserivano come nessun elettrone occupasse un posto fisso nell’universo, almeno fino a quando non lo si misura. Contrapposizioni, epocali, non più districate neppure oltre un secolo dopo dalle menti più brillanti nostre contemporanee.

Se Labatut riesce a descrivere queste e molte altre scene, camminando lungo le vestigia umane, è perché la sua comprensione delle burrasche mentali e carnali all’alba del Novecento non ha pari: i fatti narrati, e immessi in una rete di incroci, appartengono a un mare di intuizioni quasi mai messe in relazione, e mai in questo modo nei pur rari studi. La bizzarria del sapiens ha qualcosa di tragico, genialità e disturbi sono talmente intrecciati che forse mai nessuno potrà mai dare pace ai continenti infiammati dall’arte e della scienza umane.