Il tema delle diseguaglianze è sempre molto presente nelle proposte letterarie e nella ricerca di Tommaso Giagni, lo scrittore romano giunto ormai al suo terzo libro. I tuoni è un romanzo assai ben riuscito per originalità della trama e per capacità di scrittura. Giagni guarda le persone e i gruppi sociali. Nel volume di Einaudi che ha segnato il suo esordio narrativo, L’estraneo, l’autore ha giocato con le due facce della stessa medaglia: la città dei poveri e quella dei ricchi. Ha imposto al suo protagonista di andare ad abitare prima in un contesto. Per criticarlo aspramente. E poi nell’altro, per rifiutarlo.
Oggi il discorso è cambiato e si fa più interessante. I protagonisti de I tuoni sono tre giovani, Manuel, Flaviano, Abdou, amici per la pelle. Non importa la loro provenienza, non importano le loro famiglie, se italiane o straniere. Sono tre maschi in buona salute. Gagliardi, si sarebbe detto tempo fa, e forti. La loro postura nel camminare è la stessa. I loro corpi ci parlano di una radice comune. Molto robusta.
A essi, più tardi, si aggiungerà Donatella, legata affettivamente a uno di loro, che svolgerà la funzione (molto) critica nei confronti degli abitanti di improbabili villette che tutte insieme prendono il nome di Verde Respiro. Sono la piccolissima borghesia della città. Una borghesia stupidamente individualista e sufficientemente egoista. Un gruppo sociale di piccole e ciniche speculazioni che assume comportamenti irritanti agli occhi dei giovani. Sono le persone che si fanno installare sistemi antifurto nelle proprie case e che assumono ragionamenti e comportamenti simili ai concittadini agiati che vivono altrove e che non li degnano neanche di uno sguardo.
Manuel, Flaviano e Abdou vivono invece nel Quartiere una zona urbanisticamente e socialmente emarginata. Proprio in questo scenario ci è sembrato di cogliere gli elementi di maggior interesse dei personaggi proposti dal romanzo. Si tratta dunque di periferia, uno dei termini più abusati e inquinati che oggi troviamo nel linguaggio pubblico.
È vero che nel quartiere vivono le transessuali. Ci sono comunità di zingari. Lo spaccio è considerato una cosa tutto sommato normale (e anche uno dei ragazzi ne rimane coinvolto). È vero che un boss di poco conto, il Reuccio, controlla la vita sociale e gli affari della zona. Ma questa periferia non è il set raccontato da molti scrittori e da alcuni cineasti. Non è il totalmente altro che si contrappone al centro. Questa periferia, agli occhi di chi scrive è sembrata molto simile al resto della (grande) città. Cambiano le quantità e spesso la qualità, ma gli stili di vita e di consumo si assomigliano molto. Le birre, i pacchetti di patatine fritte, la droga, il sesso, i conflitti in famiglia, la corruzione appartengono agli uni e agli altri.
Molto opportunamente, Giagni non si allontana da quei territori. Tutto quello che accade gli è sufficiente per offrirci suggestioni fortemente letterarie e profondamente evocative.
Solo per poche pagine, nottetempo, i tre giovani si trovano a fare un giro per il centro di Roma. Nonostante le considerazioni critiche e la distanza che l’autore cerca di frapporre tra loro e il fascino della città, Roma appare bellissima ma irraggiungibile. Poi si ritorna nel vero centro, del racconto e della vita dei giovani. A questo punto è chiaro il peso e il ruolo che ha il Quartiere con le sue abitudini e la sua storia. D’altra parte chi cresce ha desideri di emancipazione. Pensa anche a studiare e frequentare l’università.
La cesura tra le diverse disposizioni urbanistiche è logistica ed è anche antropologica. Lasciare il Quartiere per andare nel centro di Roma è come cambiare città. A tutti gli effetti. Ma è giusto tutto questo? È tollerabile? Ha senso che anche le persone più vicine, almeno urbanisticamente, esprimano solo diffidenza dei tuoi confronti? Non siano in grado di elaborare nemmeno una iniziativa di solidarietà e inclusione? No, non è giusto. E questo fa molta rabbia, una rabbia indiscriminata che sembra voler tutto travolgere per azzerare gli elementi che sono occasione di tanto dolore.
Ogni movimento dei protagonisti, ogni loro espressione del volto, ogni azione e ogni situazione vengono prelevati con cura dalla realtà che Giagni ha conosciuto per ricollocarli dentro il contesto narrativo che, come ha avuto modo di dire Emanuele Trevi, si avvantaggiano del “raro potere di farci immaginare il mondo che descrive”.
Un libro da leggere e rileggere con attenzione perché è evidente che il senso della narrazione non è solo nella trama, ma anche nei piccoli grandi gesti che i protagonisti ci propongono.