Tommaso Avati / L’assenza di rumori che ci distingue

Tommaso Avati, Il silenzio del mondo, Neri Pozza, pp. 205, euro 17,00 stampa, euro 9,99 epub

Con delicatezza, sensibilità e lucido realismo, Tommaso Avati nel suo ultimo romanzo ci coinvolge e mette in contatto con un mondo ai più sconosciuto, quello delle persone non udenti. Rosa, Laura e Francesca – i cui nomi danno il titolo ai tre capitoli con cui il libro è suddiviso – sono rispettivamente nonna, figlia e nipote, che, dall’avvento del fascismo sino ai giorni nostri, in epoche quindi totalmente differenti, hanno vissuto e interagito con la loro sordità. Rappresentativa e d’impatto è già l’immagine di copertina del libro (un particolare di Gita in barca di Antonio Donghi, del 1934) che ci fa entrare istantaneamente nello spirito della narrazione: due donne con lo sguardo fisso su di noi, apparentemente immobili, si lasciano trasportare sul fiume, facendoci percepire un assoluto silenzio.

Rosa viene scelta neonata all’Ospedale della Carità di Todi da una povera famiglia contadina che, non potendo avere figli, la adotta per ottenere un piccolo sussidio statale, a quei tempi garantito con l’adozione di figlie femmine. Sono inconsapevoli del fatto che la bimba sia sorda, sembra buona, non piange. Quando i genitori se ne accorgeranno, non accetteranno questo suo deficit ma la piccola, vivace e intelligente, riuscirà a venire in contatto con una donna misteriosa che le insegnerà i rudimenti del linguaggio dei segni: “E avrebbe ricordato per sempre la sensazione che le aveva dato assistere per la prima volta al sorgere del proprio discorso interiore. (..) Quel discorso interiore non era null’altro che un discorso senza parole, in cui queste via via morivano dando luogo a immagini indipendenti, autosufficienti, a significati puri: era il pensiero stesso”.

Rosa ormai ragazzina, si trasferisce a Roma con la madre, ospitate in un convento di suore; in quella grande città nascerà sua figlia Laura, procreata non per amore ma perché Iginio, proprietario di un negozio di oggetti sacri, approfitta una sera della ragazza, senza che lei peraltro (a causa della sordità e delle limitate esperienze di vita) abbia consapevolezza di ciò che sta accadendo. Obbligato quindi dalle monache a un matrimonio riparatore, Iginio si rifiuta di considerare sua figlia Laura una ragazza sorda e impedisce a Rosa, per superstizione e ignoranza, di insegnarle la lingua dei segni. Mentre la piccola mostra chiaramente il suo deficit uditivo attorno ai cinque anni, la madre non si arrende ma inizia di nascosto a insegnarle quel tipo di comunicazione, la notte, chiuse nella loro camera. Laura è una bambina curiosa del mondo, vuole mettersi alla prova, conoscere e studiare, avere amicizie. Da ragazza, grazie alla forza di volontà, verrà addirittura scelta per frequentare l’Università di Washington, l’unica vera università al mondo per non udenti dove tutti i docenti utilizzano la lingua dei segni.

Dalla relazione d’amore tra Laura e Domenico, lui benestante proprietario di un negozio di orologi, nascerà Francesca. È di un’epoca diversa dalla madre e dalla nonna e vuole sentirsi libera, appartenere alla società che ha intorno, vuole integrarsi e non adoperare solo i segni per comunicare ma usare codici moderni, sperimentando tecnologie che Laura invece rifiuta totalmente, definendo “loro” le persone normo udenti, soggetti da evitare e dai quali doversi difendere e proteggere.

Avati nelle sue pagine ci confida dubbi, paure e soprattutto desidera farci conoscere la difficoltà che i sordi hanno, tra tabù e remore presenti nella collettività, nel riuscire a trasmettere i loro sentimenti, nel riferire il silenzio che li avvolge e che è la loro quotidianità. Ciò a cui dà rilevanza è la limitatezza che i sordi hanno nel riuscire a esprimere ad altri la propria sfera affettiva; è il rimanere all’interno di un mondo ovattato e il sentirsi diversi ma anche uomini migliori rispetto a chi può utilizzare la voce per parlare. Perché il linguaggio dei segni, nell’evoluzione della specie, è anteriore all’utilizzo della parola e la tesi che qui si sostiene, soprattutto attraverso il personaggio di Rosa, è che l’uomo abbia iniziato a dover usare la lingua parlata quando ha cominciato a sentire il bisogno di mentire, producendo di conseguenza un pensiero ambiguo e falso.

Ma altresì, per contrapposizione, egli pone in evidenza il fatto che con la voce si possono trasmettere sensazioni dettagliate, grazie alle parole e alle inflessioni di tono, mentre con i gesti è difficile raggiungere il medesimo risultato. Francesca ci dirà: “Come si dice silenzio? (..) Lo fece così, mettendosi le mani in tasca e chiudendo per un attimo gli occhi, perché non sentire significava soprattutto non vedere le mani che parlano”. Colpisce profondamente questa descrizione: occhi chiusi, mani in tasca, una persona sorda si trova in un silenzio comunicativo assoluto. In quali occasioni noi normo udenti siamo davvero in silenzio?

In una recente intervista Avati si esprime così: “Per via della mia sordità ho dovuto fare un uso molto espanso del mio sguardo, della mia capacità di osservazione. Ed è osservando molto gli altri che si finisce con il ‘sentire’, a livello epidermico, tutto quel che non si può dire”. Il silenzio del mondo, dunque, è anche una metafora sulla difficoltà della comunicazione tra gli esseri umani, è la complessità del raggiungersi e comprendersi reciprocamente, è la manifestazione del dolore che scaturisce dal dialogo tra le persone.