Terzo libro per Tomaso Montanari dell’ora d’arte che sempre più assomiglia, in un Paese incarcerato in una realtà che condanna a uccidere l’arte e l’umanità sociale – e il bello velato dall’abbassamento, senza freni, del “restare umani”. Dalla rubrica settimanale sul “Venerdì di Repubblica” al volume composto di 117 opere e altrettante note, dall’età antica alle installazioni contemporanee, il “bello” che Simone Weil avrebbe voluto anche nelle celle dei condannati. La forza dell’arte per Montanari non è solo diletto per il viandante che dà aria alla privata topografia, ma l’avvicinarsi a qualcosa che cura il fiato e contrasta la mercificazione e i razzismi culturali. Soprattutto in questo attuale tempo italiano in cui l’aria tesa della pandemia si è trasformata in un ritorno dei fascismi e nel contagio ben più virale della violenza maschile. Con un fallout nucleare e l’avvelenamento bellico alle porte di tutti. Guardare il Trittico della guerra di Otto Dix dovrebbe scrollare quel sonnambulismo che poco più di un secolo fa diede agio all’avvio della Grande Guerra. Ma i massacri e le macellerie sono già dentro le nostre menti perdute di europei, venendo da Est e Medio Oriente. E il ritratto di Beckett (autrice Jane Brown, 1976) ha una sua verità che ci include e ci condanna con la sua “irritazione e rassegnazione”, secondo Montanari conteso dal tempo che colpisce. Il volume si conclude (almeno provvisoriamente) con il collage alla Giudecca dove si vede la parola DISERTIAMO composta, su fondo rosso, con fotografie di tutte le guerre. Lo scandalo delle armi si riconosce nelle immagini di Hiroshima e dei dittatori che annunciano l’avvio delle belligeranze. Molto più di un punto di vista, l’esortazione dovrebbe trasformarsi in pensiero radicale.
Abbiamo un patrimonio culturale tutt’intorno, ancora capace di interrompere l’avvio della rovina che da qualche tempo (da qualche epoca) abbiamo posto come ipotesi di aggiornamento tecnologico delle leggi della natura – viste come accomodamenti obsoleti di un pianeta vecchio. Il profitto, il mercato, non saranno mai trionfanti resurrezioni alla stregua di messia che rompono le porte degli Inferi come nella tela di Gaudenzio Ferrari, se mai ci porteranno a rivoltarci nella nube di scura aria disegnata da un ossessionato Leonardo per le apocalissi: dal disegno all’odierna tracotanza che allestisce un teatro accogliente le peggiori tempeste. Con sempre meno opzioni a nostro favore neppure le immagini fiere di immagini femminili e maschili (Correggio, Courbet) riescono a suscitare resistenza e nobili spasmi se non echi di lontane civiltà.
Montanari in un recente saggio si concentra sulla parola “educazione”, che – dice – a pochi piace, forse, ma che dovrebbe essere necessaria almeno per una sorta di rispetto verso persone e cose che per secoli hanno coltivato ciò in cui siamo ancora (per quanto?) immersi e possiamo guardare. Ma sembrano trascorsi invano i tempi in cui nella Waste Land Eliot faceva convivere l’antico e il moderno in un tessuto sempre in tensione sotto il nostro sguardo. E ancora Weil insisteva sull’essere permeabili a tutti i nessi esistenti nelle opere d’arte, mai separati da esse, in nome di ciò che un tempo si chiamava civitas. Teniamo il passo con la passione che Montanari non smette di regalarci, al pari di una vera e propria educazione sentimentale.
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