Virginia Woolf scriveva che all’università non si deve insegnare “l’arte del dominare” sugli altri, ma di integrare abbattendo barriere di ogni tipo. Era il 1938, oggi Tomaso Montanari mette queste poche righe – tratte da Le tre ghinee – al principio del suo nuovo libro, come custodi di una militanza che in questo momento, non certo qualunque e di certo pericoloso, risulta necessaria quanto il pane e il vino, la democrazia, l’arte, e la resistenza giovanile. Ragazzi e ragazze appartengono a una generazione che stiamo condannando a essere l’ultima. Bene fa Montanari a ricordare come papa Francesco esorti i giovani a “fare chiasso”. E bene fa il rettore dell’Università per Stranieri di Siena a contrastare, in ogni suo intervento, i recenti moti di repressione poliziesca verso la causa di una università libera che, lungi dall’essere perfetta, deve essere autonoma e in grado di comunicare con la città, con i cittadini tutti della società.
L’inaridimento, ormai globale, viene portato e accelerato dai governi di estrema destra, viaggia sul disordine mentale che sembra dilagare in ogni dove della cronaca quotidiana. Negli atenei molti se ne sono accorti, le proteste si alzano, e non sembra più così ovvio che il pensiero critico possa avere lo spazio d’agire. La crisi dell’Occidente, in questo Libera università, trova il modo di rendere chiare le sue origini: Montanari tiene il passo riportando gli interventi nefasti di alcuni, e facendo emergere le tensioni sempre più profonde (e reazionarie) all’interno del mondo accademico. E le “torri d’avorio” novecentesche, a cui Panofsky dava merito con la loro capacità di mettere in guardia, hanno ancora autonomia e libertà in questa nostra epoca?
Nessuna facile risposta può ritrovarsi in questo libro che non è un saggio sul diritto, ma un lucido sguardo su cosa voglia dire autonomia di pensiero e autonomia dell’università. Torna in mente, e non a sproposito, quanto la parola “educazione”, tanto presente nei libri sull’arte che Montanari ci ha regalato, pur piacendo a pochi, sia sempre più necessaria all’interno di questi nostri tempi ormai andati ben oltre la Waste Land di Eliot: oggi, nemmeno delle macerie sappiamo più che farcene, visto che continuiamo a seppellirle sotto altri (e alti) strati di macerie – come a Gaza, cariche di ossa e bombe inesplose. Se vogliamo imparare qualcosa sui rapporti umani, contrastiamo le persone che siamo diventati in questo primo ventennio del 2000: a noi basti, dentro la “repubblica”, conservare la capacità di trovare insegnamento là dove ancora fiorisce.