Nelle precedenti edizioni, non sempre un finalista o un vincitore dello Strega è stato sinonimo di qualità. Ogni concorso letterario ha delle variabili: il potere delle case editrici e l’ obbligo mai dichiarato di una loro alternanza sul gradino più alto, i gusti dei giurati e gli appoggi politici degli scrittori, solo per citarne alcuni, concorrono alla classifica finale. Nel 2015, ad esempio, vinse Lagioia con La ferocia che, personalmente, ritengo uno dei romanzi meno riusciti e più presuntuosi, stilisticamente parlando, che abbia mai letto.
Non è il caso di Resto qui, di Marco Balzano, che fa parte della dozzina del Premio di quest’anno: ci troviamo di fronte a un romanzo con una ricerca storica e sociale accurata – si parte dalla vigilia della seconda guerra mondiale – in un territorio particolare, il Sud Tirolo, che ha vissuto quel periodo in modo anche più tragico, per alcuni aspetti, di altre realtà. L’autore non perde di vista la trama che non lascia tregua, crea personaggi vivi e credibili evidenziandone la psicologia, ci immerge in un ambiente di alta montagna in cui la natura non è sempre amica e che forgia caratteri spigolosi, ci regala dialoghi perfetti dal punto di vista letterario. Lo stile è semplice e lineare e mantiene una compattezza che non viene mai meno. Marco Balzano, milanese del 1978, scrive senza orpelli e arroganza, con un tono asciutto che riesce a mantenere l’intensità del narrare a livelli di qualità.
Il Sud Tirolo, alla vigilia del secondo conflitto mondiale sente molto il suo essere una terra di confine situata vicino ad Austria e Svizzera. La cultura e le abitudini sono condizionate dall’isolamento dal resto del Paese e dalla presenza delle Alpi che la sovrastano. L’agricoltura e la pastorizia sono le occupazioni che danno da vivere agli abitanti. Curon è il paese dove vivono i protagonisti del romanzo: la gente parla tedesco, e l’arrivo dei fascisti con le loro imposizioni – vengono cambiate tutte le targhe bilingui, diventa vietato insegnare il tedesco nelle scuole, i pochi posti di lavoro sono assegnati a italiani – non fa altro che avvicinare la comunità alla Germania di Hitler. Trina ed Erich, due giovani del luogo, si sposano prima dello scoppiare della guerra. Avranno due figli, Michael e Marica. Lei, insegnante, è figlia di un falegname, lui è un pastore che non ha altri orizzonti oltre la valle.
Quando il pericolo di una nuova, grande diga si affaccia sulla piccola comunità, Erich sarà uno dei promotori di una rivolta che non si materializzerà mai: il fatalismo e l’età avanzata della maggior parte dei residenti saranno un ostacolo insuperabile, nonostante Curon sia destinata a essere sommersa e sparire. Erich viene richiamato dall’esercito italiano, torna ferito e inorridito dalla crudeltà del conflitto. Decide che non ritornerà più a combattere proprio mente il figlio, Michael, si arruola volontario nell’esercito tedesco.
Dopo l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio, al posto dei fascisti arrivano i tedeschi: i lavori della diga si fermano, Hitler vuole costruire ferrovie. Un dramma rimane sempre vivo nella vicenda: Marica è sparita, portata in Germania dalla sorella di Erich e da suo marito, lasciando una lettera in cui dice ai genitori di aver seguito gli zii volontariamente. Erich viene richiamato dai tedeschi, ma decide di disertare e Trina lo segue in alta montagna. A fine guerra torneranno in paese dove tornerà anche Michael che non perdonerà al padre di aver disertato così come Erich non gli perdonerà di essere nazista. Gli avvenimenti, raccontati da Trina, vanno avanti fino a dopo il completamento della diga, nei primi anni sessanta.
Un romanzo sul potere, quello che dichiara guerre, quello che espropria case e terreni per un ipotetico miglioramento tecnologico, che non si ferma neanche davanti all’intervento del Papa o al politico di turno, che non si arresta di fronte alla distruzione dell’ambiente. Vite strappate dalle loro radici senza compassione, con una crudele brutalità che solo il potere, da qualunque parte provenga, può possedere.