Non è facile tradurre Thomas Pynchon. I suoi romanzi sono veri e propri fuochi d’artificio verbali, pieni di allusioni e di giochi di parole, le sue trame sono complicatissime, piene di flash-back e di flash-forward, e piene di personaggi, che parlano spesso infarcendo i loro discorsi con espressioni gergali, spesso provenienti da lingue diverse dall’Inglese (Spagnolo, Italiano, etc.). Non è facile dunque tradurre uno scrittore così complesso e che raramente ripete le stesse parole, ma cambia continuamente registro, conia spesso dei neologismi e dimostra inesauribili risorse lessicali. Eppure questa nuova edizione di Vineland (uno dei suoi cosiddetti “romanzi californiani”) che ripropone la traduzione di Pier Francesco Paolini, riveduta e aggiornata da Andrea Mattacheo, aveva tutte le carte in regola per offrirci una traduzione finalmente all’altezza della sfida linguistica di Pynchon, che riuscisse a rendere la sua ricchezza lessicale. Questo intento può dirsi riuscito solo in parte: il linguaggio di questa nuova edizione appare più aderente al linguaggio parlato presente nel testo originale, alcune soluzioni linguistiche appaiono più efficaci, e nel complesso il testo scorre in maniera più agile, però purtroppo non mancano dei refusi che una lettura più attenta avrebbe dovuto eliminare.
Non mancano, anche in questo romanzo, alcuni personaggi straordinari, come il Marquis de Sod, e il Conte Drugula (nome d’arte del DJ Mucho Maas), oppure delle trovate straordinarie come il grande monolite nero di 2001: Odissea nello Spazio, trasformato in un enorme blocco di Marijuana compressa., che fa il paio con l’espediente dell’enorme blocco di hashish parlante inventato da Philip K. Dick in Un oscuro scrutare. Per non parlare della ripresa ironica di alcuni famosi titoli del cinema noir: Bubble Indemnity, The Lounge Good Buy, The Mall Tease Flacon, The Lady ‘in’ the Lox… sono quei momenti straordinari in cui la scrittura di Pynchon, per così dire, si lascia trasportare dal significante.
In questo romanzo di Pynchon si compie un cortocircuito tra la prima colonizzazione vichinga/normanna del Nuovo Mondo in epoca medievale, la mitica Vinland o Vineland, una comunità che sparì nell’arco di pochi decenni, e la California degli anni Ottanta, eterna Terra Promessa per aspiranti attori e sceneggiatori, ma ancora una volta Terra della Morte, i Nuovi Inferi dove si è spenta forse per sempre la grande speranza che si era accesa nei giovani nei luminosi anni Sessanta, dove migliaia di americani in cerca di fama e di successo sono andati a morire. Nella Vineland californiana immaginata da Pynchon l’intera storia della colonizzazione del Continente Americano si chiude così come era cominciata: con una comunità utopica, con una sorta di nuovo Giardino dell’Eden destinato ad avere vita breve, destinato ad essere distrutto dalla violenza dei Federali.
Molti di noi hanno ancora un’immagine della California come della Terra del Sole, dell’Oceano, del surf, di ragazze in bikini sempre carine e disponibili, delle droghe, del rock’n’roll… Scordatevi tutto questo, ci dice Pynchon: ormai siamo nella California degli anni Ottanta, siamo nel 1984, la data della profezia distopica di Orwell, il sogno degli anni Sessanta si è infranto contro la brutale realtà dei tagli al welfare operati dal nuovo Presidente degli Stati Uniti, rieletto per il suo secondo mandato, Ronald Reagan. Ritroviamo un’intera generazione di hippies – di cui il protagonista, Zoyd Wheeler, è un tipico rappresentante – che si è attardata a rincorrere i propri sogni, vive di sussidi statali (Zoyd è costretto almeno una volta l’anno a dimostrare la propria infermità mentale fracassando la vetrina di un negozio di fronte ad una troupe televisiva, pena la perdita del sussidio) e ormai è passata al nemico, cioè i Federali impegnati nella nuova guerra alla droga, oppure si è rinchiusa in casa a guardare la Televisione, the Tube.
L’associazione tra la California e la Morte è ormai il frutto di una lunga tradizione, che parte da una considerazione generale sull’Occidente come Terra della Morte, come Terra del Tramonto (Spengler), come luogo in cui il Sole va a morire. In California la Morte è una presenza costante, anche perché gli stesso californiani sono ben consapevoli che prima o poi arriverà il BIG ONE, la grande scossa di terremoto che produrrà centinaia di migliaia di vittime. Più si va verso Ovest, verso il West, in cerca dell’oro come nel XIX secolo, più ci si avvicina alla Morte: nella letteratura americana abbiamo moltissimi esempi di personaggi che vanno verso il West inseguendo i propri sogni di gloria e di ricchezza, che vanno in California a morire. Basti pensare ad alcuni straordinari romanzi e racconti di Nathanael West, di Richard Brautigan, di Raymond Carver. A un certo punto del romanzo scopriamo che addirittura in California esistono dei misteriosi passaggi sotterranei (anzi, delle vere e proprie superstrade abbandonate… Highways to Hell, insomma) che conducono agli Inferi, conducono nel Regno dei Morti. Pynchon riprende il mito classico della Discesa agli Inferi, il mito di Orfeo, attualizzandolo tramite una contaminazione con il mito indiano di Tsorrek, il Mondo dei Morti degli indiani Yurok.
In Vineland troviamo una associazione di idee sorprendente: la Televisione è collegata in qualche modo alla Morte, in quanto la sua fruizione è resa possibile da un misto di luce e di buio, da un misto di particelle positive e negative (ioni), all’interno del vecchio tubo catodico. Non mancano i riferimenti a un altro grande bestseller degli anni Sessanta, il Libro Tibetano dei Morti, anch’esso in qualche modo collegato alla TV. Infatti lo stato intermedio tra la vita e la morte (il Bardo) descritto nel Libro è proprio quello stato in cui il soggetto vede una luce intermittente, che si mescola con l’oscurità: la TV. Guardando la TV, immersi nel buio dei nostri salotti, entriamo in uno stadio che prelude alla Morte, prendiamo dimestichezza con la Morte… Il Thanatoide – questo il termine coniato da Pynchon per descrivere tutti quei giovani e non più giovani americani che hanno rinunciato a lottare – imbambolati davanti alla TV, sono già morti ma non sanno di esserlo, come in Ubik di Philip K. Dick. La TV ha finito per banalizzare perfino la Morte, ha prodotto una pericolosa assuefazione alla violenza e alla morte. Guardando la TV, lo spettatore non riesce più a percepire la differenza tra la vita e la non-vita, tra la vita e la morte, proprio come accade nella fortunatissima serie TV di David Lynch Twin Peaks, che non a caso si afferma proprio negli stessi anni in cui Pynchon stava scrivendo e pubblicando Vineland, in cui l’Assassinio di Laura Palmer diventa lo Spettacolo della Morte, un delitto che viene letteralmente “consumato” dagli spettatori nel corso dei vari episodi della serie, e in cui la ricerca del colpevole non potrà mai avere fine, in una eterna confusione tra allucinazione e realtà. La luce intermittente dei televisori ci introduce alla nuova atmosfera da incubo degli anni Ottanta, introduce un nuovo tipo di scansione del tempo rispetto alla calma contemplativa degli anni Sessanta, un tempo che scorre in un continuum ininterrotto – che riempie tutti i nostri possibili momenti di riflessione – eppure allo stesso tempo parcellizzato, frammentato dai programmi e dagli spot pubblicitari. Questa nuova fruizione del tempo, delle immagini della violenza e della Morte, ha prodotto nuove dipendenze molto più pericolose di quelle dall’LSD, come la dipendenza da Televisione (Tubalmania) e dunque la necessità di disintossicarsi (Tubaldetox). Lo stesso dicasi del computer e della cosiddetta rivoluzione digitale, che ha frammentato la nostra vita in una lunghissima successione di uno e di zeri.
Frenesi Gates, la protagonista femminile del romanzo, oggetto di una vera e propria quest sessuale da parte degli altri protagonisti, si chiede a un certo punto: “Come abbiamo fatto a perdere il contatto con la realtà fino a questo punto? A far finta di niente per così tanto? Facevamo meglio a calarci LSD e basta…” Eppure qualcosa rimane di quel sogno, quel senso di libertà assoluta che ha spinto tanti giovani verso la California: “Ci siamo divertiti un sacco.” dice Zoyd Wheeler alla fine del romanzo, e Mucho Maas – il famoso DJ e produttore discografico che era un personaggio centrale nel primo romanzo di successo di Pynchon, L’incanto del Lotto 49, che qui ritorna – gli risponde: “E non ce l’hanno mai perdonata.” Ecco, il punto è proprio questo, la constatazione che ormai non si può più giocare e scherzare, che la ricreazione è finita, che il sogno degli anni Sessanta si è trasformato nell’incubo degli anni Ottanta, l’America di Kennedy si è trasformata nell’America di Nixon e poi di Reagan, un “paese di sbirri” in cui imperversa un Nuovo Proibizionismo e in cui imperversano soprattutto i Federali impegnati non più nella compilazione delle Liste di Proscrizione come all’epoca del Senatore McCarthy e di J. Edgar Hoover, ma in una nuova Guerra contro la Droga.
Nel romanzo di Pynchon c’è un continuo andirivieni, una continua lotta tra la Luce degli anni Sessanta e le Tenebre degli anni Ottanta e della cosiddetta Reaganomics, tra i Figli della Luce e i Figli delle Tenebre, secondo uno schema gnostico-manicheo che Pynchon segue in tutti i suoi romanzi. C’è il solito Superbad, il supercattivo capitalista e/o fascista di cui si innamorano sempre le protagoniste, in questo caso il super-agente federale dal nome tedesco Brock Vond, che alla fine del romanzo sprofonderà letteralmente agli Inferi in un finale che dimostra come il Male assoluto ormai è rappresentato da personaggi neofascisti o neonazisti (come J. Gordon Liddy, ex federale protagonista dello Scandalo Watergate, citato nel romanzo) e dalla Guerra alla Droga che ha caratterizzato gli anni Ottanta di Reagan. Il vecchio Raygun, ormai non più semplice Governatore della California, ma dal 1981 Presidente degli Stati Uniti, e della sua Reaganomics, cioè il taglio sistematico dei fondi federali e il vero e proprio smantellamento del welfare a favore di iniziative assurde come la Strategic Defense Initiative (SDI), il cosiddetto Scudo Spaziale, costosissimo sistema di difesa spaziale che la fine della Guerra Fredda ha reso superato (si spera) per sempre. La luce psichedelica che esplodeva nel cervello degli hippies degli anni Sessanta si è trasformata nella luce lattiginosa delle immagini televisive o nella luce accecante dei nuovi ordigni intercontinentali termonucleari voluti da Reagan.
Ascoltate il gruppo punk hardcore Dead Kennedys nel loro famoso brano, dedicato proprio a Reagan, California Uber Alles: “Benvenuti nel 1984, siete pronti per la Terza Guerra Mondiale?”