Gérald Bertot (1910-2002), più noto con lo pseudonimo anglicizzante di Thomas Owen – nome del commissario protagonista di uno dei suoi primi romanzi polizieschi, che negli anni ’40 firmava invece come Stéphane Rey, un nom de plume riservato in seguito alla sua successiva e brillante attività di critico d’arte –, è insieme a Jean Ray e Gérard Prévot, il maggiore esponente della Scuola belga del bizzarro. Un paese il Belgio ricordato soprattutto per le arti figurative – Simbolismo e Surrealismo in particolare – e per il fumetto della “Linea chiara” – Hergé e Jacobs, solo per citare gli autori più noti – ma che ha donato alla cultura francofona anche la sua forse più significativa e originale narrativa fantastica moderna. A questa viva tradizione Thomas Owen appartiene degnamente: esperto di arte surrealista, intimo amico personale, oltre che per più aspetti discepolo e continuatore del maestro di Gand, Jean Ray, è stato come lui compiaciuto oggetto di immaginarie speculazioni pseudo-biografiche da parte di lettori e fan. Come si voleva Ray fosse stato pirata e contrabbandiere, facendo 7 volte il giro del mondo, oltre che domatore di leoni e ammaestratore di tarantole, così il più modesto Owen – secondo la leggenda – era passato indenne attraverso ben 87 duelli alla sciabola o alla pistola. In realtà il buon Gérald era tutt’altro che un cattivo soggetto: rampollo di famiglia altoborghese, convinto cattolico (come anche Jean Ray), diplomato in un prestigioso collegio dei gesuiti e laureato in filosofia e in legge. A somiglianza di Ray però, l’affabulazione gli sfuggiva sempre di mano proiettandolo fantomaticamente tra i suoi personaggi nel mezzo delle più esotiche e mirabolanti avventure.
Autore anche di romanzi, Owen è stimato però soprattutto per la sua narrativa breve, misura che aveva affinato al massimo delle potenzialità anche per motivi pratici: il lavoro quotidiano – come presidente della società generale di macinazione e distribuzione di cereali del Belgio, la corporazione dei mugnai insomma – per molti anni non gli aveva lasciato troppo tempo per elaborare testi di più lungo respiro. Un maestro del racconto dunque, breve e brevissimo, che l’attuale riscoperta da parte di Agenzia Alcatraz e della sua bella collana Bizarre, ci restituisce finalmente dopo un pluridecennale oblio che aveva colpito lui come Ray, Seignolle, e tutto il meglio del fantastico francofono. A parte un pugno di racconti dispersi in antologie horror miscellanee, infatti, solo un’unica raccolta a suo nome era stata dedicata all’opera dello scrittore belga: Le dimore inquietanti, raffinato volume pubblicato nel 1994 da Panozzo Editore, a cura di Anna Soncini Fratta, che affiancava i brevi testi fantastici di Owen alle riproduzioni di quindici tele del pittore surrealista belga Gaston Bogaert.
Con Cerimoniale notturno, Agenzia Alcatraz presenta finalmente, come quinto volume di Bizarre – che riproduce, quasi integralmente (splendide copertine comprese), la celeberrima collana francese della Marabout Fantastique –, dopo due antologie di Prévot, un romanzo di Ray, lo straordinario romanzo della scrittrice inglese Ethel Manning Lucifero e la bambina, una delle raccolte più note e considerate di Owen. Diciassette racconti tutti brevi, tranne l’ultimo, dai registri più vari che spaziano dall’horror al weird, dalla ghost-story classica al dark fantasy, dal macabro fino all’umorismo nero. Rispetto alla visionarietà delirante di Jean Ray, Thomas Owen è più parco di “effetti speciali”, più misurato, lascia più spazio all’immaginazione del lettore e guadagna in ambiguità quello che perde in allucinazione. I suoi riferimenti sono anche, rispetto a Ray, meno pulp e più colti.
Se Il piccolo fantasma o La tentazione di Sant’Antonio potrebbero infatti tranquillamente uscire dall’Anthologie de l’humour noir di André Breton, così anche il sottile e morboso erotismo di La dama di San Pietroburgo o Dolci sciocchezze rimandano soprattutto ad una fascinazione profondamente sadiana di stampo surrealista. La sorpresa finale piomba sempre e comunque sul collo del lettore affilata come la lama della ghigliottina: La passeggera è in questo un piccolo capolavoro da manuale. Originalissimo anche Un bel bambino, storia di patti diabolici tra pargoli e giardini d’infanzia. Più classiche sul fronte della storia di fantasmi e di vampiri La ragazza della pioggia, Il cacciatore, Elna 1940, Il grande amore della signora Grimmer o La serata del barone Swenbeck. Assai curiosa invece Al cimitero di Bernkastel, dove Thomas Owen e Jean Ray stessi compaiono come protagonisti “reali” di una storia di vampiri ed esorcismi. Per ultima la novella lunga Straniero a Tabiano, sorta di atipico fantasy che potrebbe riecheggiare certa narrativa fantastica italiana, da Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati a Le città invisibili di Italo Calvino.
In conclusione, un’antologia varia e coinvolgente che mostra al meglio la versatilità tematica e la maestria stilistica di Owen, ottimamente trasposte in italiano dal traduttore Luca Fassina. Non ci resta che aspettare fiduciosi altre proposte da parte di Agenzia Alcatraz nell’ampia bibliografia di Bertot/Owen: da La Cave aux crapauds a Pitié pour les ombres, da La Truie a Le Rat Kavar – rospi, scrofe, topi: animali totemici e chimere surreali – quale sarà la prossima?