“Cos’è il feel good book?” chiede Alice a Tom.
“È unֹ’libro che fa star bene. Grosso modo, bisogna presentare la vita da un’angolazione positiva, fare ritratti di personaggi che affrontano prove difficili ma ne escono fortificati. Si tratta di storie in cui l’amicizia trionfa sulle avversità, in cui l’amore permette di superare tutti gli ostacoli, in cui le persone cambiano ma per diventare migliori di com’erano all’inizio…”
“Aaaaah, bisogna parlare di resilienza e cazzate simili?”
“Sì, per esempio, c’è molta psicologia. Ma psicologia spicciola, nozioni del tutto terra terra (…).”
In sintesi, la formidabile alchimia del best-seller di successo, la “rapina letteraria” (definizione di Tom, scrittore prolifico perennemente all’apice della gavetta) degna di un colpo grosso al casinò. O l’ultima chance di chi – come i due folli e disperati protagonisti del nuovo romanzo del belga Thomas Gunzig – varcata la soglia dei cinquant’anni deve fare i conti con lo spettro di un’inedia terribile e fatale. “L’aritmetica dei poveri” contro “l’odore dei ricchi”.
Come trovare l’argent de poche quando per tutta la vita hai venduto scarpe sei giorni a settimana, hai un figlio in età scolare e un magro conto in banca? Genitrice madre improvvisamente disoccupata, Alice, povera ma ancora bella, le ha provate tutte. Perfino il sesso a pagamento. Ed, extrema ratio (sic!), rapire un bebè e chiedere un esoso riscatto. Destino vuole, però, che nessuna famiglia sembri essere in ambasce per la scomparsa di Agathe – così Alice ha “battezzato” l’infante sconosciuta –, tantomeno polizia e asilo nido. Figurarsi l’Interpol! Che fare?
Tranquilli. Thomas Gunzig, osannato sceneggiatore del film Dio esiste e vive a Bruxelles (e non solo: la sua mirabolante biografia professionale è lunga e varia quanto l’elenco dei mariti di Zsa Zsa Gábor), a questo punto ha già giocato la sua carta vincente, un tragicomico punto di svolta grazie al quale Alice conoscerà Tom, mentore innamorato, e ricambiato, di un’allieva digiuna di Classici con la maiuscola eppure dotata di fervida e febbrile ispirazione.
Aggiungere altro sarebbe lesa maestà nei confronti dell’autore e del lettore. Non fosse che Feel good (omonimo titolo del romanzo partorito da Alice in sole due settimane…), straripa di affondi graffianti e dialoghi brillanti, rivelandosi, sin dalle prime pagine, un piccolo capolavoro di comicità e perfidia. Soprattutto quando il bersaglio preferito di Gunzig, oltre all’inumana società dei consumi, è il demi monde editoriale d’Oltralpe (e chi bazzica da decenni quello nostrano non faticherà a scovare palesi affinità), affollato di soubrette e primedonne di ambo i sessi, marionette assorte e un po’ patetiche contese dai media a ogni rentrée littéraire. Pane per i suoi denti, insomma. Un affresco urticante non dissimile, per amena spietatezza, da quello regalato da Stephen Frears in Tamara Drewe. Tradimenti all’inglese (2010).
E che fa dimenticare, a chi l’avesse letto, il mediocre esordio narrativo del Nostro, quel Morte di un perfetto bilingue (2001, Meridiano Zero di Odoya, 2013) promosso, in quarta di copertina, come “una sorta di M.A.S.H. di Robert Altman con richiami a The Truman Show rielaborato dalla CNN e sponsorizzato dalla Kellog’s”. Nulla a che spartire con Feel good.
Postilla. Ferma restando l’esaustiva definizione di apertura, il Feel Good è un fortunatissimo (in termini di milioni di copie vendute) genere letterario assai in voga non solo nei paesi anglosassoni (lì si parla di Up Literature), ma anche in Italia. Sull’argomento il web abbonda di informazioni, tuttavia lasciamo ad Alice l’ultima parola: “le persone che fanno vita da ricchi o comunque vite dove va tutto quasi sempre bene, vogliono sentirsi raccontare storie che confermino lo stato del mondo, non cose che rimettono in questione lo stato del mondo”.