Estinzione (Auslöschung. Ein Zerfall, 1986), sottotitolo Uno sfacelo, è l’ultimo romanzo pubblicato in vita dal tormentato scrittore Thomas Bernhard. Austriaco per discendenza familiare, per lo meno, dal momento che nacque nei Paesi Bassi dove la madre andò a partorire il figlio di un’unione extramatrimoniale, visse a lungo in Germania e detestò con tutto sé stesso l’Austria. Questo ponderoso romanzo non fa eccezione, né si sottrae allo stile lento e ipnotico dei precedenti. Il protagonista è il rampollo maschio di una famiglia della nobiltà terriera dell’Alta Austria, Franz-Josef Murau (ma solo una volta cita il proprio nome), trasferitosi volontariamente a vivere a Roma a causa di un complesso sentimento di disgusto verso la famiglia e la società da cui proviene.
L’azione (definizione, diciamo, “sopravvalutata” nel caso di questo romanzo) si svolge nell’arco di tre giorni, a partire dall’arrivo a Roma di Murau dopo una delle periodiche, rarefatte e defatiganti visite alla famiglia, e il suo ritorno d’urgenza a Wolfsegg quando un telegramma delle sorelle gli comunica la morte dei genitori e del fratello maggiore in un terribile incidente automobilistico. Il romanzo è diviso in due parti.
La prima è composta dal flusso di pensieri di Murau nel ricevere la tragica notizia, e inquadra personaggi e ambiente. Con una spietata macchina logico-linguistica di agghiacciante chiarezza, totalmente esente da preziosismi stilistici, il protagonista macella e disseziona una classe sociale regredita dalla centralità culturale del passato (la grande tenuta padronale di Wolfsegg contiene cinque biblioteche ormai inutilizzate) allo squallore utilitaristico-pratico del presente. Nel suo piccolo, Wolfsegg è una pars-pro-toto che rappresenta l’intera Austria, lo “Stato cattolico-nazionalsocialista” bersaglio preferito del disprezzo di Bernhard, anche quando c’è un governo che si proclama socialista.
Il padre di Murau aveva, naturalmente, aderito con convinzione al nazismo. I gerarchi erano ospiti graditi a Wolfsegg, dove furono ospitati di nascosto per anni dopo la guerra, quando erano criminali ricercati. Murau detesta e ripudia questo mondo. Da bambino è sempre stato considerato la pecora nera della famiglia, vessato dai genitori, discriminato dalle sorelle, odiato dal fratello. L’esempio datogli dallo zio paterno Georg, che era vissuto sempre all’estero ed era considerato reprobo dai parenti, gli dà la forza di ribellarsi e allontanarsi dall’Austria. A Parigi, Nizza, e poi Roma, dove insegna cultura tedesca e frequenta in maniera pressoché esclusiva italiani.
La seconda parte del romanzo racconta il ritorno di Murau per il funerale a Wolfsegg, dove però i ruoli e i rapporti interpersonali sono cambiati. Per tradizione e per legge, adesso il protagonista eredita, in quanto primo figlio maschio sopravvissuto, la proprietà nella sua interezza, con facoltà di liquidare le sorelle. Nelle poche ore di permanenza, Murau sembra lacerato tra lealtà familiare e determinazione a portare a termine il proposito di una vita, la riconciliazione tra il paesaggio idilliaco della sua infanzia e la sofferenza segreta di una solitudine intellettuale che ha caratterizzato gli stessi anni, come risultato minimo; ma forse ciò che persegue è lo smantellamento dell’abominio Wolfsegg, come sostituto dell’annientamento dell’aborrita Austria.
A rappresentare la doppia valenza del tormento di Murau c’è la presenza del vescovo Spadolini, che da una parte è suo amico e mentore a Roma, dall’altra è il trentennale amante di sua madre, e in quanto vecchio amico di famiglia presenzia ai funerali. Il finale sarà comunque a sorpresa, benché logica conseguenza degli eventi e della personalità del protagonista.
Per questo suo ultimo romanzo, Bernhard costruisce uno stile letterario di ammirevole linearità, e al tempo stesso una macchina inesorabile, una tessitura invisibile caratterizzata da ripetizioni di concetti, iperboli linguistiche, continui cambiamenti di tono dal grottesco al tragico e perfino alla commedia nera: un ritmo accattivante e devastante che si vorrebbe non terminasse mai, per cui non possiamo che ringraziarlo di trattenerci nell’incantesimo per cinquecento pagine.