Anche Stephen King, che è Stephen King, ha ammesso di considerare Fritz Leiber (1910-1992) tra i maestri dell’horror; anzi, tra i suoi maestri, punto. In Italia, però, lo scrittore americano (ma di discendenza tedesca, e molto affezionato alle sue radici teutoniche) è noto soprattutto per la sua produzione fantascientifica, quindi un po’ imprigionato in quella nicchia (dico nicchia perché i dati di vendita attestano impietosamente che la fantascienza di lettori ne ha ben pochi…). Ma Leiber ci ha lasciato una vasta produzione di fantasy urbano, heroic fantasy e horror che resta spesso inedita da noi; e questi altri generi sono ancor più di nicchia della fantascienza, con l’esclusione di pochi Grandi Nomi.
La precedente premessa è indispensabile per capire come mai, a nostro avviso, la pubblicazione di questo bel volume di una intraprendente casa editrice romana meriti la massima attenzione. Del resto, cliquot ha azzeccato tutto: la copertina, la carta, l’impaginazione, il carattere di stampa (ma avete notato quanti brutti caratteri si usano nella Grande Editoria, Mondadori in testa?). Ha anche affidato la traduzione a Federico Cenci, che è un autentico studioso di Leiber (ha persino recuperato alcuni racconti dimenticati persino negli Stati Uniti per includerli in questa raccolta). Il risultato è un lavoro di archeologia letteraria di tutto rispetto; però anche un libro che si legge con gusto.
Desidero comunque aggiungere un’avvertenza: “La villa del ragno”, la prima novella della raccolta, è un testo che facilmente può spiazzare i lettori, e indurre a pensare che Leiber fosse un mestierante dell’horror clamorosamente inetto. Tutt’altro: quel racconto venne scritto nei primissimi anni Quaranta perché lo scrittore era disperato a causa dei ripetuti rifiuti ricevuti da Weird Tales, rivista pulp che all’epoca andava alla grande, e sulla quale voleva a tutti i costi piazzare uno dei suoi scritti. Leiber, a quel punto, provò a cucinare una sorta di minestrone horror, mischiando insieme tutti i cliché più vieti e le figure più fruste del repertorio di Weird Tales, dallo scienziato pazzo al ragno gigante, dalla casa maledetta alla notte buia e tempestosa. Una specie di sarcastico pastiche che suonava più come una presa in giro che altro: eppure il racconto venne prontamente accettato e pubblicato sulla rivista.
È quindi dal secondo racconto della raccolta (ribadisco, assemblata dal buon Cenci solo per il mercato italiano), e cioè “Il signor Bauer e gli atomi”, che vediamo venire allo scoperto il talento di Leiber, scrittore professionista di generi (non di un genere solo), ma anche singolare talento letterario. Il vero pezzo forte della raccolta è però “La cosa marrone chiaro”; originariamente un romanzo breve che, come sempre accadeva alla narrativa di questo formato, venne pubblicato nel 1977 su Fantasy & Science Fiction diviso in due puntate, e viene giustamente riproposto mantenendo la divisione originaria. Tale fu il successo di questa storia di soprannaturale ambientata a San Francisco negli anni Settanta, che la novelette divenne vero e proprio novel col titolo Nostra signora delle tenebre, vincendo il World Fantasy Award e venendo pubblicata in Italia nel 1980 dall’editrice Nord (allora nella sua età dell’oro che tutti rimpiangiamo). Nella “Cosa marrone chiaro”, Leiber incrocia l’horror con l’autobiografia (è facile vedere nel protagonista, Franz Westen, un evidente alter-ego dello scrittore), ma anche con la bibliofilia, se non la bibliomania, e tesse una ricca e complessa tela di rimandi testuali a tutta la tradizione del genere (con un clamoroso omaggio a H.P. Lovecraft); è una narrazione sottilmente ed elegantemente metaletteraria, nella quale il libro diviene oggetto di feticismo, di vera e propria ossessione al confine con la dipendenza, e al tempo stesso di genuino terrore (tra l’altro, l’idea del potere arcano delle metropoli sul quale si fonda la vicenda credo che abbia ispirato uno dei migliori episodi del Sandman di Neil Gaiman…).
Da segnalare anche il claustrofobico “Fantasie paurose”, del 1982, un horror tutto ambientato negli spazi comuni di un condominio, in un’atmosfera tra il surreale e il banalmente quotidiano che quasi anticipa le destabilizzanti visioni di David Lynch. E sicuramente curioso è “Il demone nel cofanetto”, risalente al 1963, per via della sua insolita, ma assai azzeccata ambientazione romana (che sa molto di felliniana Dolce vita). Infine, il commosso omaggio al padre di tutti loro, al capostipite di quella genealogia americana di racconti terrificanti che da King risale a Bradbury e Leiber e su su rimonta a Lovecraft; ma prima del visionario di Providence, ovviamente, c’era l’immenso Edgar Allan Poe, trisnonno di tutti noi, e protagonista di “Richmond, fine settembre, 1849”.
20 Settembre 20017