Cristina Campo, poetessa e traduttrice, in una lettera a Leone Traverso del 1956, scrisse: “Tutta la mia forza è la mia solitudine, il mio andarmene sola per questi luoghi, la libertà come un coltello tra i denti”. Quale che sia il modo in cui la si interpreta, “come un coltello tra i denti” è una definizione della libertà tutta femminile. La difesa della propria indipendenza e la ricerca dell’autenticità non hanno lo stesso valore per una donna e per un uomo, né sono state messe in discussione nello stesso modo. “Come un coltello tra i denti” è un’immagine che evoca la rabbia spesso giusta delle donne e il fatto che sia così facile tagliarsi. Ma un coltello tra i denti lo si può tenere in molti modi.
Teresa Cinque in Amorologia cita Campo due volte, la prima a proposito dell’onnipotenza del visibile, in un discorso sull’attenzione eccessiva all’aspetto fisico e sul monitoraggio continuo del proprio corpo messo in atto spesso da parte di donne belle o molto belle, e sulle ripercussioni che questa forma di auto-controllo ha sull’intimità, sull’erotismo, sulla liberazione dalla vergogna, e la seconda riportandone la citazione “l’amore si fa in tre”, forse riferendosi alla presenza divina che si manifesta durante l’atto dell’accoppiamento. Cinque il coltello lo tiene con delicatezza, fermandolo coi denti davanti, e se in precedenza si è tagliata ha l’accortezza, la cura, di mostrarsi a noi solo dopo che si è sistemata e le ferite si sono rimarginate.
È raro, in una società invasa dalla pornografia del sé, mostrare la propria intimità con delicatezza, con ardore, con ironia e con il solo uso delle parole, che è quello che fa l’autrice anche quando ci mette la faccia, in veste di youtuber (oltre 120.000 visualizzazioni per L’errore di base, il primo monologo ad averle dato notorietà nel 2018).
Teresa Cinque, alias Elisa Giannini, si definisce “ricercatrice sentimentale”. Opera cioè in un campo inesauribile alla ricerca e alla sperimentazione perché troppo esplorato, da tutti, da sempre, spesso nostro malgrado, e quindi mutevole soprattutto nei dettagli minuti, come un sentiero troppo calpestato che alla vista sembra sempre uguale. Racconta le sue esperienze, le condivide, per provare a vedere le dinamiche e i meccanismi relazionali con occhi meno pesanti, meno condizionati dal già vissuto, già raccontato. L’amore è pratica e non teoria ma in quella pratica, in quel continuo inciampo, il confronto con gli altri ci può mettere al riparo, quantomeno preavvertirci della caduta imminente e contraddire, una volta ogni tanto, Ivano Fossati che cantava “la costruzione di un amore non ripaga del dolore”.
Il libro si propone come una guida, una quasi-guida, sulle relazioni sentimentali in genere e sul sesso, in modo leggero ma non disimpegnato e neppure troppo pop, come forse potrebbero far pensare la linea editoriale e in particolare il titolo e la copertina: due altalene, un uomo e una donna, l’altalena dell’uomo è appesa a un cuore, quella della donna a un cervello: il binomio ragione-sentimento è capovolto rispetto al luogo comune, qui è la donna quella razionale invece che istintiva e in preda ai sentimenti (e non importa che il luogo comune sia vecchio, funziona ancora, anche se Jane Austen ha pubblicato uno dei suoi romanzi più famosi nel 1811, e non a caso si intitolava Ragione e sentimento e non Ragione o sentimento).
Le parti più interessanti sono quelle strettamente autobiografiche, o almeno quelle che il lettore è portato a prendere come tali e su cui può teorizzare come crede, seguendo il filo tracciato dall’autrice. Un filo che passa dalle narrazioni intorno al corpo femminile – che non è mai esclusivamente della donna di biologica appartenenza – all’amore come fatto culturale e non naturale, alla fedeltà come scelta e patto, a una carrellata di tipi di uomini: il mentitore seriale, il narciso manipolatore (ma sgangherato), l’uomo geloso, l’arrabbiato, lo sposato, l’elusore. Non si spaventino gli uomini, a sentirsi categorizzati; possono apprezzare, comprendere e divertirsi, come hanno fatto le donne con secoli di letteratura prevalentemente maschile. Dovranno, gli uomini, fare un esercizio di comprensione e di pazienza se vorranno riuscire a inventare delle donne reali quanto quelle dei film di Jane Champion, che sono più vere – scrive l’autrice – di quelle raccontate dalla maggior parte dei registi maschi.
Tra i temi trattati c’è anche quello del desiderio femminile. Cinque cita la serie I love Dick (Amazon Studios, 2016) che racconta di una donna che si innamora follemente di un uomo che non è il marito e che pare volerla tenere a distanza, ma lei, Chris, è un’artista ed espone ai quattro venti il desiderio che prova per lui, ad esempio appende per tutta la città le lettere che raccontano il suo folle amore; non solo, quindi, non lo nasconde ma lo sublima nell’arte. Il desiderio femminile ostentato e addirittura messo in scena (ma se il desiderio in questione fosse stato ‘maschile’ non sarebbe stato necessario usare l’avverbio addirittura, perché gli uomini mettono in scena il proprio desiderio da sempre) è imparentato con il ridicolo femminile: una costruzione sessista e patriarcale, perché ciò che rende ridicola una donna generalmente non macchia un uomo che si comporta nel medesimo modo, se non marginalmente. Qui, per una volta, è l’uomo ad essere oggetto ed è la donna che utilizza l’erotismo a fini creativi. La forza erotica e la seduzione di Chris travolgono Dick ma forse è anche il potere di quel ridicolo a strabordare, a soverchiare i meccanismi maschili di difesa che – quasi tutti – fanno leva sul fatto che prima o poi la donna proverà vergogna di sé stessa.
Ma questa volta non succede. E ci saranno sempre più donne che smetteranno di vergognarsi e seguiranno percorsi personali di crescita, di acquisizione di consapevolezza, magari attraverso la letteratura cosiddetta femminista (che dovrebbe servire a emancipare gli uomini quanto le donne) oppure la psicoanalisi o la pratica consapevole del linguaggio (a questo proposito Cinque tiene una rubrica sul Corriere della Sera, “Male Dette Parole”) e l’uso dell’ironia: che un po’ nasconde, un po’ protegge, a volte addobba il sentimento, a volte lo fa a pezzi, ma è, in tutti questi casi, un prezioso esercizio di libertà.
Donne dall’interiorità libera e, finché può servire, con il coltello tra i denti; alla ricerca di un modo di relazionarsi e vivere i sentimenti in una forma non fittizia e magari neppure romantica ma che ripaghi ampiamente del dolore, qui e adesso. Come scrive l’autrice: “Fare l’amore è un esercizio di presente”.