Tenca Montini. La Jugoslavia e Trieste (1945-54)

Federico Teca Montini, La Jugoslavia e la questione di Trieste. 1945-1954, Il Mulino, pp. 320, euro 26,00 stampa

“Ehi, vicino, perchè stai lanciando la tua spazzatura dalla mia parte?”
“Perchè questo è il muro del confine che da oggi dividerà il nostro quartiere, compagno”
“Il confine? Io credevo che il Partito mi avesse allargato la casa!”
(Sketch del programma satirico Top Lista Nadrealista, trasmesso dalla televisione di Sarajevo nel 1991)

Nella trattazione di argomenti storici ritenuti materia sensibile o causa di feroce dibattito contemporaneo, la questione delle fonti rappresenta sempre un discrimine essenziale, quanto delicato. Se poi si tratta di analizzare, anche solo superficialmente, il ginepraio del “confine orientale” italiano nel secondo dopoguerra, è proprio sull’origine di tali fonti che ancor oggi si innestano le polemiche e le ipocrisie più feroci.

Nel lavoro di Federico Tenca Montini questa esigenza di risalire alla piena autorevolezza delle fonti ha concretamente implicato l’accesso e la consultazione pluriennale dei principali Archivi della ex-Jugoslavia: in particolare quelli di Belgrado, Zagabria e Ljubljana. Ai quali va aggiunto il maršalat – il fondo personale di Josip Broz Tito, conservato a Belgrado, del quale fanno parte numerose e variegate epistole, dai toni affettivi quanto messianici, redatte anche da ammiratori italiani.

Se tale lavoro può apparire, al nostro immaginario, come una noiosa sintesi tra la speleologia filologica e l’alienazione da catalogazione, il risultato è pronto a smentirci: La Jugoslavia e la questione di Trieste (1945-1954) oltrepassa di netto il mero esercizio accademico, per dare alla “ricerca” un significato innovativo sotto almeno due aspetti. Quello linguistico e quello stilistico.

L’opera di ricostruzione di Tenca Montini è infatti in primis il risultato di un confronto serrato con l’enorme mole di carteggi diplomatici redatti nel (defunto) serbocroato e in sloveno, cui vanno aggiunte le numerose pagine scritte in alfabeto cirillico (serbo e russo).

La sensazione immediata è quella di essere di fronte non solo al verso di una pagina della quale abbiamo letto solo il recto, ma di avere davanti – in forma di miniera cartacea – una lunga epopea “balcanica”, nella quale i retroscena, gli equivoci, le ambiguità, le debolezze dei protagonisti e i particolari apparentemente più folkloristici non compongono una cornice accessoria, bensì appartengono interamente alla semantica degli eventi.

Non è un caso, né una concessione alla facilità di lettura, che l’autore innesti lungo la scansione cronologica del frenetico decennio analizzato, una ricchissima aneddotica emersa dalla selezione dei documenti visionati e dallo studio di quanto la storiografia post-jugoslava ha prodotto, negli ultimi trent’anni.

Fin dall’inizio della sua analisi, Tenca Montini mette in rilievo la contraddizione palese tra la forza militare dell’esercito jugoslavo, capace di liberare autonomamente un territorio vastissimo, e la debolezza diplomatica del suo stato maggiore, quanto dei primi ambasciatori.

Anche in virtù di questa parziale impreparazione nella delicata costruzione del consenso interno ed estero, alcuni dei momenti cardine della “lotta” per la conquista di Trieste ci appaiono degni di una commedia cinematografica coeva.

Su tutti, la visita della Commissione Interalleata del marzo-aprile 1946, che avrebbe dovuto stabilire l’effettiva composizione etnica in tutta l’area contesa, nella Venezia Giulia e in Istria. Un’occasione unica, nella quale le due diplomazie (italiana e jugoslava) si affannarono disperatamente per costruire le coreografie migliori, arricchite da colpi di scena, scritte clandestine e gaffe di ogni genere. Quasi fosse la sceneggiatura ante-litteram del film “Anni Ruggenti” di Luigi Zampa.

La rottura fatale ed epocale della Jugoslavia con l’Unione Sovietica di Stalin, il 28 giugno 1948, stravolse poi completamente il destino internazionale delle sette Repubbliche federate, sparigliando le carte di quanto era stato messo in cantiere anche per Trieste.

Appena tre mesi prima di quel giugno, infatti, per impedire la vittoria dei comunisti italiani nelle imminenti elezioni politiche e puntellare De Gasperi, la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti avevano emanato la “Dichiarazione Tripartita”: un annuncio poco più che formale, nella sostanza, ma contenente l’esplicita intenzione di restituire l’intero Territorio Libero di Trieste all’Italia.

Tenca Montini è rigoroso nel dimostrare come il successivo avvicinamento tra Tito e gli USA non sia stato in alcun modo estemporaneo, dettato da semplice opportunismo o convenienza occasionale.

L’ordine esplicito delle cancellerie occidentali divenne ben presto “keep Tito afloat”, tenere a galla il Maresciallo ad ogni costo.

Per questo la Jugoslavia, oltre a ricevere circa 89 milioni di dollari in aiuti economici (ne arriveranno ulteriori 100 nelle settimane della Guerra di Corea del 1950) entrò immediatamente nel Mutual Defence Aid Program, ovvero il programma di spese militari riservato ai Paesi della NATO.

È palese che questa ricollocazione della Federazione nello scacchiere strategico generò i problemi principali all’interno del PCI filosovietico. Fin dal 1946 i comunisti italiani avevano cercato di disinnescare il potenziale interno della questione Trieste attraverso un incontro privato tra il Migliore (Togliatti) e Tito. Purtroppo senza esito. Così dopo l’uscita della Jugoslavia dal Cominform, la sinistra italiana dovette assistere alla progressiva formazione di una corrente eterodossa filo-jugoslava che finirà per chiamarsi “Ordine Nuovo” (!!)

Altrettanto chiaro appare il fatto che il comportamento schizofrenico delle grandi potenze in quegli anni abbia prodotto un’esacerbazione della questione del confine orientale che toccò il culmine nell’estate del 1953, quando fu sufficiente un errore di traduzione della giornalista Helene Fisher della United Press[1] per fornire al neonato governo italiano, guidato da Giuseppe Pella, il pretesto per ammassare truppe lungo il confine con la Jugoslavia. I voti determinanti delle formazioni monarchiche e neofasciste al nuovo esecutivo avevano reso la questione di Trieste una “priorità assoluta”, per questo i tempestivi chiarimenti e le rettifiche non bastarono a sedare il clima.

Ancora una volta, la diplomazia angloamericana tentò di spalleggiare le rivendicazioni italiane: l’8 di ottobre del 1953 fu quindi annunciato (con un trucco)[2] il passaggio della zona A all’amministrazione civile italiana.

La decisione provocò fortissimi disordini in tutta la Jugoslavia. Da Belgrado a Zagabria, fino a Fiume, le ambasciate così come i centri di cultura inglesi e americani vennero vandalizzati; le scritte in italiano in Istria cancellate; la biblioteca americana di Zagabria fu addirittura bruciata, e il rogo fece dire amaramente ai diplomatici stranieri presenti: “ciò è evidentemente contro la dottrina di governo da queste parti”.

Quando però gli angloamericani ci ripensano e la zona A non viene concessa all’Italia, gli scontri violenti si trasferiscono da questa parte del confine. Nel novembre 1953 assistiamo quindi a quelle che la pubblicistica nazionalistica chiama ancor oggi le “Giornate di Sangue” di Trieste.

Ricostruite nel dettaglio della loro evidenza sciovinista – unita alla grandissima disponibilità di armamenti e all’esplicita connessione tra forze di estrema destra ed ambienti militari – le “Giornate” appaiono ex post una prova di forza generale della incipiente struttura Gladio/Stay Behind[3], l’organizzazione militare segreta che caratterizzerà ancora per molto tempo le vicende dei territori del Friuli e della Venezia Giulia.

Anche per queste ragioni, analizzando nel dettaglio le successive trattative (durate ben otto mesi) che portarono al Memorandum di Londra, il 5 ottobre del 1954, Tenca Montini dimostra efficacemente come la semplice transizione “amministrativa” delle due Zone, in favore rispettivamente dell’Italia e della Jugoslavia, sia stata un’operazione chirurgica di incredibile difficoltà e perennemente viziata dal concetto di compensazione[4], nonostante fossero trascorsi sette anni dalla stipulazione dei Trattati di Pace. E nonostante da parte jugoslava la perdita di Trieste fosse prevista, anche da documenti visionati da Tito in persona, già nel 1953[5].

Bisognerà attendere perciò altri due decenni – ed un’altra epoca – per giungere alla suddivisione territoriale definitiva, stabilita dal Trattato di Osimo.

Al termine di veri e propri itinerari all’interno delle pieghe della storia come quello offerto da questo libro, varrebbe la pena chiedersi se le vicende del confine orientale – definite “complesse” persino nella legge di istituzione della Giornata del Ricordo – possano essere ancor oggi trattate in opuscoli e pamphlet brevissimi, ancorché con nobili finalità divulgative, e non richiedano invece a chi si riconosce in una visione critica dei processi umani almeno uno sforzo di lettura che privilegi la complessità a scapito della comoda brevitas da social.

[1] Il 28 agosto 1953 l’agenzia di Stato Jugopress aveva rilasciato un comunicato nel quale si riportava che, alla luce delle dichiarazioni di stampo neoirredentista del nuovo capo del governo italiano Pella, fosse “necessario rivedere seriamente il contegno della Jugoslavia”. Nella sua traduzione, la frase fu resa così: “La Jugoslavia ha perso la pazienza con l’Italia negli affari riguardanti la questione di Trieste e si dice che essa pensi di cambiare il suo atteggiamento moderato, eventualmente annettendo la Zona B”.

[2]  “Lo State Department desiderava che il mancato appoggio ad ogni ulteriore rivendicazione territoriale di ambo le parti venisse comunicato segretamente soltanto all’Italia […] l’8 ottobre gli ambasciatori statunitense e inglese a Roma consegnarono a Pella la Nota bipartita corredata della clausola segreta, mentre al governo jugoslavo venne trasmessa solo la prima” (pag. 221)

[3] https://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2011/08/24/news/servizi-segreti-italiani-dietro-gli-scontri-nella-trieste-del-53-1.785108

[4] “Nel corso della seconda [riunione] Thompson commise la gaffe di dichiarare che ‘all’Italia sono state prese le colonie, e per questo il governo italiano dà un’importanza maggiore a Trieste” (pag. 251)

[5]  “Tra le carte dell’archivio di Tito ai materiali politici si affiancano infatti con maggiore frequenza elaborati di natura tecnica sulle conseguenze pratiche dei vari scenari, in tutti i quali la perdita di Trieste si dà per scontata” (pag. 240)