Enrico Pandiani, Polvere, DeA Planeta, pp. 432, € 16 stampa € 8,99 ebook
recensisce GIANLUCA MERCADANTE
C’è polvere ovunque in questa storia. C’è polvere su Torino, dov’è ambientata, e ce n’è sulle strade di una Nigeria che pure intravediamo. C’è polvere sulla scena di un omicidio dai punti interrogativi ancora aperti, nelle stanze disabitate di un appartamento che da mesi custodisce tracce di una pista non del tutto fredda, ma impolverata anche quella. C’è polvere nella vita di Pietro Clostermann, nel suo passato quanto nel suo improbabile presente da investigatore privato, ruolo che gli sta stretto. Ciò non gli impedisce di accettare l’incarico di una madre addolorata, che chiede venga fatta luce sull’omicidio della propria figlia, rapita e uccisa con modalità da esecuzione sette mesi or sono. Che colpe stava pagando, nell’attimo in cui la pallottola fatale ha posto fine alla sua esistenza apparentemente priva di macchie, priva di polvere?
Pandiani mette in scena un giallo dalla prosa più intimista rispetto a chi lo ha letto soltanto nella fortunata saga Les Italiens (della quale abbiamo già recensito almeno una puntata), che l’anno prossimo dovrebbe diventare una serie tv co-prodotta da Italia e Francia. Nel frattempo pare che la casa editrice Rizzoli abbia ritirato dal mercato i primi titoli, pubblicati da Instar Libri, per un rilancio in grande dell’intera saga nell’imminenza della messa in onda televisiva.
È proprio il diverso ritmo della parola a conquistare il lettore, che volentieri si lascia prendere per mano e viene accompagnato passo dopo passo nella storia senza fretta, come quand’è ora di fare le grandi pulizie e ci si prende il tempo che bisogna prendersi. I personaggi che abitano le oltre quattrocento pagine di Polvere ne sanno qualcosa, oh sì. Tutti ricoperti da quintali di polvere, che impediscono loro sia di mostrarsi al mondo per ciò che realmente sono, sia di fare chiarezza dentro se stessi. Nessuna paura: ci pensa Pandiani a dare la rassettata decisiva.
Di tutta l’intricata vicenda che il romanzo via via costruisce nel corso di una narrazione sì calibrata al millimetro, ma non per questo priva di grande tensione e serratissimi colpi di scena, resta indimenticabile il personaggio femminile di Tundra, sorella della donna uccisa. La scelta del nome, per quanto inusuale possa suonare, è perfettamente calzante: Tundra è un mistero fitto, colmo di zone grigie, di buchi neri. Incontra Clostermann davanti alla tomba della scomparsa e da quel momento le strade di lui e di lei inizieranno a viaggiare prima parallele, poi sempre più sovrapposte, man mano che le difese crollano, man mano che il passato riemerge per fare i conti con un presente provvisorio e periferico, man mano che la polvere vien via.
E resterà impressa nell’immaginazione di chi legge anche la città di Torino, location non troppo gettonata in narrativa a dispetto dell’indiscusso fascino imperiale che il capoluogo piemontese (nonché città natia dell’autore) emana a prescindere. La Torino di Pandiani è una Torino nascosta, gli itinerari che i personaggi vi percorrono all’interno non posseggono caratteristiche di genere turistico e ciò che vi vanno cercando non è la gita culturale alla ricerca delle bellezze perdute, o visite guidate al Museo del Cinema, o a quello Egizio.
Facciate deteriorate di vecchi condomini dalle stanche architetture, vicoli che restano tenebrosi col sole allo zenit, incerte periferie si prestano da sfondo allo srotolarsi impietoso della trama, per affondare infine lo sguardo nel mondo della malavita, della prostituzione, e raccontarne le scellerate miserie col distacco di chi non nutre pregiudizi, ma prova a offrire una verità. Una possibile verità, almeno.
A questo punto che dire d’altro? Di un giallo, soprattutto se è un buon giallo, meglio svelare il meno possibile, sennò che gusto rimane a leggerlo? Armatevi dunque di spugnette, di guanti, di grembiulini o di tute da lavoro grezzo e iniziate a togliere la polvere, orsù. Non illudetevi tuttavia neppure per un solo istante che possiate chiudere questo libro puliti, però.
Che di polvere addosso, cari miei, ne abbiamo tutti un bel po’.