Giuseppe Culicchia, Il cuore e la tenebra, Mondadori, pp. 232, euro 17,00 stampa, euro 9,99 ebook
L’ultima opera di Giuseppe Culicchia, un autore affermato e nel pieno della sua maturità artistica, ne conferma il talento. Si tratta di un romanzo breve, scritto e pubblicato in un contesto di acceso dibattito in Italia intorno al neofascismo e alla memoria divisa del paese. il libro pone il lettore davanti a una visione diversa sulla questione, relativa ma non assolutoria, senza tesi precostituite, che sembra quasi richiamare la nota massima da La règle du jeu di Renoir: se c’è una cosa di terribile al mondo, è che ognuno ha le proprie ragioni. Questo senza indugiare minimamente in una giustificazione delle ideologie fasciste e delle loro visioni paranoiche e dietrologiche del mondo, in tutte le declinazioni possibili, definite nient’altro che “storie a cui credono solo gli ingenui”.
Il romanzo si apre con la morte di Federico Rallo, un importante direttore d’orchestra italiano ormai decaduto e colpito da infarto nel suo appartamento berlinese. Nel viaggio che porterà il figlio Giulio, il protagonista-narratore, a recuperare le ceneri di suo padre per assolvere le sue ultime volontà, si dipana la storia, principalmente sotto forma di dialogo monologante fra il figlio e il padre defunto. In quello che potrebbe sembrare (a livello superficiale) un banale romanzo intorno ai rapporti problematici fra le generazioni, la trama famigliare su cui è costruito il libro – piuttosto esile e compatta – diventa anche un pretesto per allargare il discorso a tematiche più vaste e generali, come il successo della propaganda sovranista nella nostra epoca. L’ossessione di Federico per l’esecuzione della Nona di Beethoven diretta da Furtwängler per il compleanno di Hitler del 1942 – subito dopo la prima sconfitta tedesca sul fronte russo – sarà, infatti, il punto di partenza grazie a cui Giulio riuscirà a sciogliere i nodi irrisolti della vita del padre, compresa la sua discesa nella tenebra dell’estremismo nazista e il fallimento genitoriale verso i due figli amatissimi, soprattutto nel caso di Pietro, il fratello maggiore di Giulio.
La fascinazione per il male che provano e hanno provato uomini di talento e sensibilità, la banalità stessa del male, trasversale a tutte le bandiere dell’umanità e, al contempo, anche l’ingenuità adolescenziale che caratterizza gli idealismi, con la loro purezza di cartapesta, la loro vocazione al massacro e alla rivolta – grottesca – contro il mondo moderno, sono alcuni dei punti che Culicchia cerca di affrontare nel romanzo, per risolverli nella potenza che sprigionano i legami umani, l’unica cosa che conta davanti alla fugacità della vita e al carnaio della storia. Se buona parte del libro, attraverso una grande abilità retorica e un lavoro meticoloso di ricerca, cerca di calare il lettore nella mentalità di un uomo sedotto dal nazionalsocialismo, la chiusa è catartica: la tentazione di giudicare, di misurare gli altri in base a personali parametri morali, viene meno davanti alla concretezza espressa dalla morte e dall’amore, il cuore e la tenebra.
Il romanzo, però, vuole essere anche una riflessione su una società occidentale nuovamente esposta alla contaminazione delle idee nazifasciste, a causa della sua incapacità nel gestire le problematiche di un mondo globalizzato. Per questa ragione, alcune pagine possono sembrare didascaliche, ma risultano obbligatorie nel contesto particolare dell’opera. Come ogni saggio che si rispetti, l’impianto bibliografico e iconografico è solido e consistente, inserito sia nella narrazione stessa sia, in dettaglio, nella postfazione dell’autore. Basterebbe questo per leggere il libro.