In origine, c’era un bandito nel bosco di mattoni. Questo, almeno, era il titolo di un progetto dello scrittore argentino Roberto Arlt, rimasto incompiuto nell’arco della sua breve vita (1900-1942) e poi ripreso post mortem da una casa editrice rioplatense come titolo di un’antologia di testi dell’autore. Per la sua vicinanza di scrittore e giornalista alla gente dell’hampa – la malavita bonaerense, nel caso specifico – Sylvia Saítta ha voluto invece collocare lo stesso Roberto Arlt in quel “bosco di mattoni”, licenziando proprio con questo titolo il suo importante studio biografico dell’autore, pubblicato nel 2000.
Da pochi mesi l’editore Miraggi ha portato in Italia questo libro, contribuendo, con un importante “mattone” alla conoscenza di uno dei grandi fari della letteratura argentina del ventesimo secolo. Un mattone che, in realtà, è un pezzo importante di fondamenta, per restare al gioco delle metafore, se si considera che Arlt ha goduto di parecchie traduzioni negli ultimi decenni, rinfocolando un interesse nato con le traduzioni – per Savelli e Bompiani – degli anni Settanta; libri che restano, tuttavia, inevitabilmente sparsi, e non sempre reperibili, essendo stati pubblicati per molti e diversi marchi editoriali. Per citarne alcuni (e, purtroppo, dimenticandone certamente altri): Einaudi, Sur, Elliot, Del Vecchio, Arcoiris, Casimiro, Intermezzi, Baroni… Anche la rosa dei traduttori è molto ampia, andando da Luigi Pellisari e Angiolina Luccone (sempre negli anni Settanta), per poi arrivare a Raul Schenardi, Alessandro Gianetti, Jaime Riera Rehren, e molti e molte altre ancora, in tempi più recenti.
Tra questi, Marino Magliani aveva dato vita alle Acqueforti di Buenos Aires, nel 2014, in collaborazione con Alberto Prunetti – forse uno dei libri più rappresentativi di Arlt, nella sua veste di giornalista-scrittore – e ora è autore, insieme a Riccardo Ferrazzi, della piacevolissima traduzione della biografia di Saítta, così ricca di spunti, materiali e considerazioni da potersi leggere come un romanzo in più del già prolifico scrittore.
Per chi scrive risalta, in particolare, “Sogno del viaggio” – l’ottavo capitolo, degli undici che compongono la biografia, che racconta il periodo europeo di Arlt – perché, oltre ad alcuni rocamboleschi episodi (in linea con alcuni personaggi, altrettanto spericolati, che costellano i suoi romanzi e racconti), emerge con vivida chiarezza, sulla pagina, lo sguardo di un autore latinoamericano del primo Novecento sulla realtà spagnola degli anni Trenta. E lo scarto di prospettiva è illuminante, tanto per la storia descritta quanto per l’autore che la descrive.
Senza rivelare altri dettagli di una biografia che costituisce, appunto, una narrazione godibilissima, ma anche un’analisi letteraria impeccabile e uno studio sociologico prezioso sull’Argentina dei primi decenni del Novecento, si potrebbe almeno dire: peccato che Arlt non sia stato in Italia, in quel periodo! Il suo sguardo di cronista dei bassifondi, ma anche di giornalista politico e culturale, avrebbe colto con nitore – pur con qualche inevitabile distorsione, nello sguardo dell’outsider – l’avvento e lo sviluppo del fascismo italiano. Peccato, ancor di più, che Arlt sia stato tradotto in italiano soltanto a partire dagli anni Settanta: chissà cosa avrebbe potuto scrivere di questo autore, per altri versi così genialmente vicino alla letteratura popolare, Antonio Gramsci.
Pochi rimpianti, però. La lezione di Arlt rivive oggi in autori ben noti al pubblico italiano come Ricardo Piglia e – in misura minore, ma con una certa ubiquità nelle scelte di autori e autrici latinoamericani da importare nel mercato editoriale italiano – César Aira. Rivive, soprattutto, nella lettura delle opere dello scrittore argentino, per la quale la biografia di Saítta si pone oggi come strumento imprescindibile.