Svaghi carnali in sanatorio

Max Blecher, Cuori cicatrizzati, tr. Bruno Mazzoni, Keller editore, pp. 240, euro 15,50 stampa

Dalle caverne abitate dall’anima alle caverne abitate dal corpo, stretto nella morsa del bustino di gesso. Proporzioni mentali in Accadimenti nell’irrealtà immediata e corporee in Cuori cicatrizzati (entrambi forti della saldezza traduttiva di Bruno Mazzoni), romanzi appartenenti alle due vite di Max Blecher – quella verticale, immersa in febbricitanti visioni e deliqui fortissimi, e quella orizzontale preda di una tubercolosi spinale che lo atterrò a ventinove anni nel 1938.

Detenuto dall’autorità medica in un sanatorio di Berck, nel Nord della Francia, il protagonista Emanuel (Blecher in persona, senza dubbio) si trova alle prese con le putrescenze che sgorgano dalle vertebre ammalate e con le terribili infermità di coloro che soggiornano in quel luogo e che diventano immediatamente compagni di vita pressoché familiare e caparbiamente amorosa e sessuale. Poiché a Berck ogni paziente, nonostante il travaglio di amputazioni, oppressioni corporali, gessi costrittivi e spossatezze settiche, riesce a intraprendere relazioni, amicizie, invaghimenti, fra tè serali e sbronze notturne di stanza in stanza, spostandosi con ogni genere di attrezzo, bastoni, stampelle, e una sorta di carrozza attrezzata a barella in grado di accogliere i corpi trasformati quasi totalmente in statue di gesso.

Questa folla di uomini e donne, immersa in un’atmosfera marina che appare ben poco risanante, si dedica a quegli svaghi carnali che ancora spingono e contrastano la crescente impotenza dei corpi mummificati dalle costrizioni artificiali. Blecher descrive un ambiente dove medici e infermieri sembrano messi da parte, mentre ogni azione ha la tutela degli allucinati “villeggianti”: giovanotti signorine e signore di diversa estrazione dediti, nonostante malattia e mutilazioni, a esaudire fami e fantasie lungo incontri collettivi e personali, nei saloni e nelle singole camerette. Tutti spiano tutti, le amicizie convergono e divergono, i corpi tentano accoppiamenti complessi in un delirio passionale che assomiglia a complicanza patologica.

L’amore di Emanuel per la graziosa Solange, ormai guarita, si risolve in un annaspamento di lui imprigionato nel busto di gesso e nel tentativo tragicomico e disperato di lei affinché possa farsi prendere dal ragazzo. Le fughe in calesse sulla spiaggia, nel gelido periodo invernale o nel torrido clima estivo, contrastano l’indifferenza del personale medico verso i turbamenti di Emanuel e della schiera di ospiti, la scoperta di ville dove venire accolti in uno scenario più umano porta quasi sempre a disfatte esistenziali maggiormente perturbanti. Il risanamento non sembra una probabile opzione, molti spariscono e altri s’imprigionano in un’estatica parvenza di guarigione.

Ovunque trema abbondantemente la gelosia per questo o quello, nei rapporti che s’intersecano più forti e profondi di quanto avvenga lontano dal sanatorio. Blecher crudamente ci dice che tale definizione è ben distante dalla realtà. E che nemmeno la sanguigna trama erotica racchiusa fra le pareti riesce a modificare il corso del tempo e delle cose.

Resta anche in questo secondo, ammaliante romanzo la visceralità fotografica della scrittura percepita in Accadimenti nell’irrealtà immediata, l’irradiazione del pensiero febbrile sulle cose quotidiane del “secondo mondo” di Berck. Il rumeno Blecher, la cui corrispondenza con le grandi personalità del primo Novecento (Breton, Gide, Heidegger) fu interrotta soltanto dalla morte, avanza ancora, talvolta sorpassando voci molto più conosciute, verso il cuore malamente cicatrizzato della nostra epoca.

5 marzo 2018

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