Susan Taubes / Sophie Blind sorvola il mondo

Susan Taubes, Divorzi, tr. Giuseppina Oneto, Fazi Editore, pp. 321, euro 19,00 stampa, euro 9,99 epub

Susan Taubes è Sophie Blind? Autrice e protagonista si incontrano in modo inequivocabile quando la prima muore annegata nel 1969 un paio di settimane dopo che Sophie si presentava al pubblico nelle librerie affondata nelle torsioni di Divorcing, unico romanzo di Susan. L’amica di Susan Sontag, nata a Budapest nel 1928 da una famiglia ebrea, emigrata in America alle soglie della seconda guerra mondiale, solo dall’aldilà forse ha potuto leggere nella mente dei fruitori della propria opera, recuperando così le distese scarmigliate della sua esistenza nomade.

Sophie Blind apre gli occhi nella prima pagina del romanzo ma vede in modo offuscato e quel che gli si presenta cambia continuamente, qualcosa non va, la scena in cui è immersa ha mutazioni allucinatorie, e in questa distorsione finalmente lo dice: lei è morta, investita da un’automobile e scaraventata al centro della strada. Non c’è dubbio che sia morta, la testa recisa dal tronco. Siamo a Parigi e “France Soir” ne dà notizia. A quel punto ogni cellula della donna s’invola oltre le porte cittadine: miliardi di cellule liberate nei boschi di Boulogne e Vincennes. E inizia la storia.

Il Nulla è piuttosto somigliante a un ripostiglio pieno zeppo di abiti di scena, di rimanenze accatastate in una magione padronale: impossibile distillarne tempo e storia così come sarebbe impossibile elencare i caleidoscopici anni trascorsi da Sophie Blind narrati con fare psichedelico nelle pagine successive di Divorzi. Al seguito di un marito da non sopportare nonostante il suo amore per il matrimonio, riconoscendosi (e riconosciuta) diversa da tutte le altre, difficile e impossibile ma non masochista.  A lei il padre aveva insegnato che gli uomini hanno bisogno di oscenità per provare piacere. Quel teatrino dominato da avversione diventa un manufatto la cui scena, geografica e mentale, muta continuamente. Nessuna ambientazione è simile a un’altra, nelle pagine del romanzo, Parigi e l’America, Budapest e tutti i luoghi imprecisati sono luoghi offesi dalla guerra, e le abitazioni di Sophie Blind odorano di meccanismi degni dell’orologeria svizzera. Un libro “scritto” (e a proposito mai dimenticare la maestria di Giuseppina Oneto, traduttrice) come questo fa venire in mente (e impressiona) le caratteristiche gotico brillanti gettate a piene mani da Djuna Barnes nel suo Nightwood: che sia “bosco” o “foresta” (la differenza complica le cose) la notte allena i fatti a crogiolarsi nella scrittura. Non è un caso che Taubes e Sontag si scambiassero una grande amicizia. Loro abitarono i confini, nelle opere e nelle differenze ma non nel disegno generale dato alla scrittura.

L’oltremondo di Divorzi assomiglia all’insieme di una vita messa lì tutta in una volta, e perciò terribile da vedere e vertiginosa da pensare: la mutevolezza assunta in dose micidiale è una volta per sempre. Si ama Sophie Blind proprio perché si vede il suo destino nell’interezza impertinente che forse solo in punto di morte è data. La capacità di questo romanzo ha qualcosa di misterioso e sexy, quell’oscuro accumulo di storie e cose che solo un regista come Wes Anderson riuscirebbe a trasporre in film. Se non fosse che, artefatto dopo artefatto (annichiliti dai colori pastello), il nulla è sempre il nulla.