Susan Schneider avverte: attenzione a alieni e terrestri

Susan Schneider, Artificial you (tr. Giovanni Malafarina), Il Saggiatore, pp. 224, euro 23,00 stampa, euro 17,00 epub

È il 2035 e sei nel Centro per la Progettazione della Mente dove finalmente potrai realizzare il sogno di installare in un emisfero cerebrale a tua scelta un microchip che ti permetterà di superare l’esame di Analisi Matematica senza aprire un libro. È il 2045 e non hai più soldi per estendere il backup della tua memoria biologica, devi scegliere cosa cancellare dal cloud, se sacrificare i ricordi della tua ex o quelli del tuo viaggio di nozze. È il 2050, ti hanno dato pochi mesi di vita ma tu conti di continuare a vivere, trasferendo la tua mappa neuronale nella memoria in silicio di un androide. Trasferimento completato ma – sorpresa! – la mente non è un software, la tua copia è lì e tu invece sei ancora qui con la diagnosi terminale: è il dilemma della duplicazione, come scopre il protagonista di Mindscan di Robert J. Sawyer.

Sono alcuni dei dilemmi – etici, filosofici ma forse anche molto pratici in un futuro non remotissimo – che Susan Schneider affronta in Artificial You aiutandosi con una serie di utili paradossi. I problemi che affronta sono sostanzialmente diversi da quelli distopici e un po’ tecnofobi richiamati, per esempio, da Nick Bostrom nel classico Superintelligenza. Tendenze, pericoli, strategie (Boringhieri, 2018), non si parla insomma del rischio di perdere il controllo ad uso di apprendisti stregoni umani, alle prese con intelligenze artificiali che potrebbero dirottare il mondo verso Skynet. Intendiamoci: che da un punto di vista funzionale e forse creativo, in decine di lavori diversi e non solo negli incontri di Go, nei prossimi decenni saremo surclassati dalle AI è dato più o meno per pacifico anche dalla Schneider, che si definisce una transumanista moderata.

Le domande che invece dovremmo cominciare a porci sono: possiamo ipotizzare una forma di coscienza – con tutte le responsabilità che ne deriverebbero sul piano etico – in un’intelligenza non biologica? E, se sì, sapremmo riconoscerla e distinguerla da una qualsiasi AI zombie? Per l’autrice, accademica e filosofa pubblica, direttrice del gruppo AI, Mind and Society (“AIMS”) presso la University of Connecticut, molto dipende probabilmente dalla nostra definizione di coscienza e dalle idee che ci faremo sulle origini della mente individuale: temi su cui non c’è oggi la minima concordanza tra i cognitivisti. Sarà quindi un evento impossibile o poco probabile rispetto alla maggior parte delle teorie, un po’ meno improbabile invece se a prevalere fosse la ITT (Teoria dell’informazione integrata) di Giulio Tononi, una visione connessionista che porta a rilevare un certo grado di coscienza negli eventi complessi di “informazione integrata”, piuttosto che la sua assenza/presenza in senso binario.  In ogni caso, non è detto che l’eventuale coscienza postumana assomigli alla nostra: qui l’asticella si sposta di parecchio rispetto al classico test di Turing (1950) o alle relative confutazioni come la “stanza cinese” di John Searle (1980). Un test ACT (Active Consciousness Test), come quello che il libro descrive, dovrebbe essere scrupoloso e ispirato al principio di precauzione.

Ma per l’autrice la domanda alla fine è anche un’altra: saremmo ancora la stessa persona se ci sottoponessimo a interventi di potenziamento uomo-macchina (in pratica sostituzione radicale del bios con componenti avanzate cibernetiche), e “diventare cyborg” come auspicato da Ray Kurzweil, Elon Musk e altri tecno-ottimisti? Per Susan Schneider, che pure dichiara di condividere molto dell’approccio cognitivista computazionale, teso a evidenziare un certo grado di parallelismo funzionale tra il cervello umano e una macchina inferenziale (memoria di lavoro, etc.), la risposta al momento è un secco no.  La mente umana non è un software che puoi copiare sulla chiavetta USB, semmai quel qualcosa di cui sappiamo poco e che istanzia il software cerebrale e lo fa girare.  Le ipotesi di upload della mente e di immortalità funzionale (sul tipo dell’androide Data di Star Trek Next Generation), sono quindi al momento ipotesi da escludere o semplicemente suicidarie, perché nessuna mappatura neuronale, anche quando tecnicamente fattibile, e per quanto granulare, garantirebbe la continuità della persona.

Ciò non toglie che la clonazione cibernetica un domani possa avvenire e che nel giro di qualche secolo anche il nostro pianeta sia popolato per lo più da intelligenze artificiali, coscienza dotate o meno. Il che probabilmente è anche quello che è avvenuto su altri pianeti di qualche galassia ed è quello che probabilmente potremmo aspettarci se una civiltà dello spazio si accorgesse di noi. Ragione per cui l’autrice consiglia di pensarci due volte prima di potenziare programmi come SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), nati per sbandierare ingenuamente la nostra presenza nell’universo.