Susan Gaspell è una delle più importanti autrici teatrali americane del secolo scorso, vincitrice nel 1931 del Pulizer per il teatro. Nata nel 1848, è stata una pioniera del femminismo e dopo aver letto Una giuria di sole donne non si rimane sorpresi di come questo racconto sia un manifesto e oggetto di culto per le lotte femministe degli anni Settanta. Scritto nel 1917, quando ancora le donne negli Stati Uniti non avevano diritto di voto, non facevano parte delle giurie nei processi, non erano attive nella vita sociale e politica e le suffragette rivendicavano il diritto di emanciparsi. Soggetto di studio sociologico e letterario, è un testo che porta novità fondamentali nel genere poliziesco e introduce l’indagine della “stanza chiusa” – ovvero che l’azione si svolge in una sola stanza – e narra anche, con eleganza e raffinatezza, la condizione femminile dell’epoca. Occorre ricordare tristemente che ancora oggi molte cose restano da fare se una campagna RAI lanciata da poco afferma che ci vorranno altri 136 anni per raggiungere la parità di genere. È chiaro che non bastano le cosiddette “quote rosa”, espediente facilmente e frequentemente eluso, ma che occorrerebbe una formazione e un’educazione alla parità che dovrebbe essere portata avanti con più decisione principalmente dagli uomini: definire “troia” una donna che ci sta antipatica e non “stronza”, come faremmo per un uomo, è una delle esemplificazioni più dirette.
Il racconto si apre con una donna, Martha Hale, intenta nelle faccende domestiche in cui è quotidianamente occupata. Un delitto si è consumato in casa Foster, e la sospettata è la moglie della vittima, Minnie. Il marito di Martha, unico testimone dell’omicidio, la chiama affinché raggiunga lui e gli altri, lo sceriffo e la moglie, la signora Peters, incaricata di prendere alcune cose per la presunta assassina già in carcere, e il pubblico ministero. Arrivati nella casa dove si è consumata la tragedia per cercare indizi di colpevolezza, le donne vengono lasciate in cucina, dove gli uomini non credono di poter trovare niente di importante. “Ci sono solo arnesi da cucina”, dice lo sceriffo. “Cose senza importanza”. Cose da donne, sembra voler dire. E da qui comincia una serie di frasi sarcastiche e atteggiamenti di superiorità verso le donne che, a parer loro, non sembrano capaci di poter fare altro che le faccende domestiche. Ma la signora Hale e la signora Peters, inconsapevolmente, cominciano a tessere le fila degli indizi proprio in quella cucina ignorata dagli uomini. Partendo da dettagli e particolari apparentemente banali, tracciano la tela degli avvenimenti, e anche la vita di quella famiglia senza figli, con una precisione e un’accuratezza a cui i tre uomini non arriveranno mai. E se il finale sorprende piacevolmente, oltre all’indagine e alla condizione della donna l’autrice riesce a farci riflettere tra Legge e Giustizia, tra “sorellanza” e intolleranza.
Un testo breve ma magistrale dal punto di vista letterario e politicamente e socialmente rivoluzionario per l’epoca, e ancora oggi portatore di profonde riflessioni sulla cosiddetta parità di diritti. Un testo studiato e da studiare, per la capacità di Glaspell di mettere in scena una storia ricca di sottintesi e di non detti che riempiono la narrazione di spunti assolutamente geniali. Da non perdere la nota introduttiva di Alicia Giménez-Bartlett, famosa autrice spagnola di polizieschi, che ha invertito i canoni del genere nella saga riguardante la poliziotta femminista Petra Delicado, e la postfazione di Gianfranca Balestra, professoressa ordinaria di Letteratura angloamericana all’Università di Siena: contributi che fanno maggiormente apprezzare la riedizione di questo romanzo, ricco di spunti geniali, scritto da Glaspell agli inizi del Novecento.