Lorenzo Pavolini scrive bene. È uno scrittore sobrio ma che non si tira indietro davanti a nulla. Tratta tutto con una raffinata delicatezza che dalla scrittura parte per veicolare storie e stati d’animo complessi e profondi. Il suo precedente libro è uscito quattro anni fa – ben lontano dai ritmi di alcuni scrittori e scrittrici in gran voga ai nostri giorni.
Da poche settimane è in libreria L’invenzione del vento un romanzo di formazione con molti elementi autobiografici che riesce nello sforzo di raccontare una generazione. O meglio, una parte di quella generazione che si caratterizzò per un atteggiamento che diede adito a definizioni sociologiche e a considerazioni politiche. Parliamo degli anni Ottanta e del cosiddetto ”riflusso”. Via dall’impegno, via dalla politica, a volte anche via dalla società. Soprattutto per i giovani appartenenti alle classi più agiate, ma non solo per loro, il desiderio di fuga, facilitato dal grande afflusso di denaro che l’economia drogata di quegli anni comportava, si sposò con quella che negli anni precedenti era la controcultura. È proprio il caso di Giovanni e Pietro, uno di famiglia borghese e l’altro di famiglia povera, che a pochi anni dall’affermazione del mito di Un mercoledì da leoni diventano abili surfisti e iniziano a vivere per questo.
Ma Pavolini non è così ingenuo (e disonesto) da soffermarsi solo sulle avventure dei due ragazzi. Egli decide di dar forza alla loro scelta riprendendo per i capelli il “mostro” della storia e collocandolo nel libro. E così mentre leggiamo di loro due ci ricordiamo, contemporaneamente, che le BR avevano rapito Moro, che a Trastevere era stata uccisa Giorgiana Masi, che erano state promulgate prima la Legge Reale e poi la legge Cossiga. E che l’Italia aveva vinto i mondiali di calcio. Tutte queste notizie sono collocate a piè di pagina sotto un fregio grafico appena visibile che rappresenta le onde.
Il vantaggio di poter avere sotto i propri occhi la trasposizione grafica dello scivolamento, sulle acque e sulla storia, ci aiuta a seguire meglio le proposte del narratore quando ci parla del rapporto non facile con il lavoro, e con la dimensione concreta dei propri sogni e delle proprie aspirazioni. Piano piano il tempo passa, i giovani crescono e i loro percorsi di vita si divaricano. Chi ha più occasioni professionali tra cui scegliere, lascerà il surf, chi ne ha meno si dedicherà esclusivamente alle sue tavole sul mare.
L’invenzione del vento propone anche immagini poetiche che ci rimandano alla consapevolezza che il surf (la vita) è uno sport individuale ma che, alla fine, tanti individui adulti, si guardano tra loro e scoprono di essere una comunità.
Chi cercasse in questa storia la retorica dell’avventura nella natura contro il grigiore della vita borghese in città, si sbaglierebbe. Chi cercasse una qualità di scrittura alta e anche coraggiosa (quando si passa dalla terza alla prima persona) troverebbe pane per i suoi denti.
Chi si appassionasse a questa bella lettura troverebbe tra le dita che hanno sfogliato il libro tracce di polvere di malinconia.