Sull’essere invisibili

Simone de Beauvoir scriveva nel 1947: “È vero che la donna è fisicamente più debole dell'uomo. Che è schiava delle gravose funzioni riproduttive. Le donne si muovono con difficoltà e goffaggine in un mondo di uomini perché in quel mondo sono ammesse solo come ospiti. Non vi si sentono a casa, è un universo che non è stato creato da loro e che non hanno ancora conquistato.”

Invisibili, il libro di Caroline Criado Perez edito nel 2019 da Einaudi, è un interessante scritto, una minuziosa ricerca sulla cecità maschile nei confronti dell’universo femminile, un’analisi di un persistente atteggiamento miope che penalizza sicuramente le donne, ma anche gli uomini, impedendo un progresso che gioverebbe a tutta la Società.

La Perez tratta argomenti già affrontati in questi anni in cui si cerca di ragionare con più attenzione (ma forse non abbastanza) sulla questione femminile, come ad esempio il maggior carico di lavoro casalingo che ancora grava sulle spalle femminili, le discriminazioni (“se una donna alza la voce in parlamento la si fa tacere con un dito sulle labbra, come si fa con i bambini. Quando è un uomo ad alzare la voce, non succede mai”, così testimonia una deputata europea), i pregiudizi sul posto di lavoro (ancora si crede che le donne non abbiano una mente brillante nonostante evidenze come il fatto “che il primo computer digitale multiuso entrato in funzione nel 1946, era stato programmato da sei donne”), le molestie e violenze (“nei tre anni di guerra in Bosnia circa sessantamila donne hanno subito violenza sessuale, e nei cento giorni del genocidio in Ruanda ci sono stati duecentocinquantamila stupri“); non solo, ci sono anche moltissimi dati e illuminanti esempi di come il maschio mediamente ignori il corpo e le specifiche femminili.

Il saggio si apre con la rappresentazione di scenari di vita quotidiana – come la prosaica necessità di usare un bagno pubblico – rendendosi conto che, è vero, la coda davanti alla toilette femminile è molto più lunga di quella davanti al bagno degli uomini ma che, andando oltre le facili battute, il problema ha origine dalla progettazione degli spazi: “A prima vista sembra giusto e corretto assegnare un’identica porzione di spazio ai sanitari delle signore e a quelli dei signori. […] La divisione fifty-fifty della metratura disponibile è addirittura sancita nero su bianco dalle norme per la costruzione degli impianti idrici. Ciò nonostante, nelle toilette maschili dotate sia di orinatoi che di cabine il rapporto tra numero di potenziali utilizzatori e superficie del locale è molto più vantaggioso rispetto alle toilette femminili che hanno soltanto le cabine”; non solo, “la quantità di tempo necessaria a una donna per utilizzare una toilette può essere fino a 2, 3 volte superiore a quella di un uomo. Anziani e disabili ci mettono ancora di più, ed entrambe le categorie hanno una componente maggioritaria femminile. E sono in prevalenza le donne ad andare ai servizi in compagnia di un bambino o un anziano disabile. Infine bisogna tenere conto di quel venti, venticinque per cento di donne in età fertile che nei giorni del ciclo potrebbe aver bisogno di cambiare una assorbente o un tampone. Ci sono poi altri motivi per cui le donne usano il bagno più spesso degli uomini: le gravidanze, per esempio, riducono in maniera significativa la capacità della vescica.” Quindi, dal momento che pare accertato che il bisogno di servizi igienici sia maggiore per la popolazione femminile, diventa inutile nonché controproducente ragionare su uguali spazi, uguale metratura, mentre diventa necessario smettere di pensare in primis all’uomo e sensibilizzare la progettazione in relazione alle diverse esigenze delle donne.

Altra necessità quotidiana è l’uso del cellulare la cui dimensione, essendo parametrata su mano maschile, risulta spesso troppo grande per la mano femminile. Sembrerebbe ovvio, allora, immaginare di farli più piccoli ma pare proprio siano gli uomini come maggiori consumatori a condizionare gli acquisti della telefonia. “Difatti se ne trovano in commercio alcuni con dimensioni più contenute, come l’iPhone Special Edition con il display da 4 pollici. Ma il modello non è stato più aggiornato, perciò al momento è un prodotto di gamma inferiore rispetto agli ultimissimi apparecchi disponibili soltanto nelle misure ” enorme ” e” più enorme “. E comunque ormai è fuori produzione. In Cina, donne e uomini dalle mani piccole hanno a disposizione il Keecoo K1, che con la sua forma “esagonale” tenta di adattarsi alle dimensioni della mano femminile (il che è un bene). Peccato che sia poco potente e abbia una fotocamera frontale che ritocca le foto in automatico (il che è un male, un gran male).”

Considerando l’uomo come misura delle cose, si perde di vista che si tratta non solo di comodità ma anche di salute: i cellulari a misura maschile possono nuocere alle donne così come accade per la tastiera del pianoforte le cui ottave, sempre pensate per il pianista uomo, portano il settantotto per cento delle pianiste a soffrire di tendinite.

La salute è al centro anche di altre indagini della Perez: le automobili, per esempio, sono disegnate per gli uomini: la distanza dal sedile ai pedali, la conformazione delle cinture di sicurezza e del poggiatesta sono calibrate per un maschio alto un metro e settantasette centimetri e del peso di settantasei chili – ossia, la stazza dei manichini usati per i test di resistenza agli scontri richiesti alle case automobilistiche – e, da questo, ne deriva che le donne mediamente guidano in condizioni di disagio. “quando guidano, le donne tendono a sedersi in posizione più avanzata perché in media sono più basse degli uomini. Abbiamo bisogno di stare più vicine per poter arrivare ai pedali, e ci sediamo con la schiena ben dritta per vedere al di là del cruscotto. questa però non si può considerare una posizione <<standard>>. Dal punto di vista della postura, cioè, le donne sono guidatrici <<anomale>>”7. È vero che gli uomini, trascorrendo più ore al volante, hanno più probabilità di essere coinvolti in un numero maggiore di incidenti, ma quando vi è coinvolta una donna è per il quarantasette per cento più probabile che si ferisca gravemente e per il settantuno per cento più probabile che muoia.

In ambito sanitario, inoltre, è utile ricordare che l’invisibilità femminile, la mancata caratterizzazione della sua specificità comincia nelle aule universitarie. “Per secoli e secoli si è pensato che il corpo maschile e quello femminile differissero soltanto per dimensioni e fisiologia riproduttiva: la scienza medica si è concentrata su un’ipotetica <<norma>> maschile, etichettando come <<atipico>> e persino <<abnorme>> tutto ciò che non rientrava in quei parametri. I manuali di medicina abbondano di riferimenti all'<<individuo medio del peso di settanta chili>>.” Sembrerebbe, ironizza l’autrice, adottato il concetto che le donne siano dei maschi in miniatura.

L’esempio concreto che ci porta la Perez è quello delle malattie cardiovascolari, oggi causa principale di decesso fra le donne americane: un infarto si presenta diversamente in una donna, con dolore allo stomaco, difficoltà di respiro, nausea e stanchezza invece di dolore al petto e al braccio sinistro. Capita, quindi, che i dottori non riconoscendolo in tempo utile, non prestino cure adeguate, e finché gli studi medici saranno condotti su soggetti in prevalenza maschili le cose non potranno cambiare. Basti pensare che solo nel 2015 è stato appurato che l’aspirina, utile nel prevenire un primo infarto negli uomini, può essere addirittura nociva alle donne e, sebbene le donne soffrano di depressione il settanta percento in più degli uomini, gli studi cerebrali su maschi sono cinque volte più frequenti che nelle femmine. “Nei rari casi in cui le donne partecipano alla sperimentazione di un farmaco, il test gli viene somministrato all’inizio della fase follicolare del ciclo, quando i livelli ormonali sono al minimo: quando cioè una donna somiglia di più a un uomo. Lo scopo è <<evitare che estradiolo e progesterone interferiscano con i risultati dello studio>> ma la vita vera non è un esperimento scientifico, e nella vita vera gli ormoni femminili – che impertinenti! – non possono non interferire. Per ora è stato dimostrato che il ciclo mestruale incide sugli effetti degli antipsicotici, degli antistaminici e degli antibiotici, nonché di alcuni farmaci per curare le cardiopatie.” Per non parlare dei disturbi che sono tipicamente femminili, dalla comunissima dismenorrea per cui i medici non possono fare nulla, alla più dolorosa endometriosi di lentissima diagnosi; se una donna lamenta dolore, spesso non viene creduta ma considerata isterica, noiosa, al punto che neanche le compagnie farmaceutiche, di solito attente a potenziali mercati così ampi, manifestano grande interesse. “La sindrome premestruale colpisce il novanta percento delle donne ma è da sempre stata poco studiata: la proporzione numerica tra gli studi sulla Spm e quelli sulla disfunzione erettile nei maschi sarebbe di uno a cinque. Non basta: a fronte di una vasta gamma di terapie mirate alla disfunzione erettile, per la sindrome premestruale non c’è quasi nulla, tanto è vero che più del quaranta per cento delle donne che ne sono affette non risponde alle cure oggi disponibili. Nelle situazioni più gravi si ricorre tuttora all’isterectomia; in quelle estreme, ci sono donne che hanno tentato di togliersi la vita. Ma i ricercatori si vedono negare i finanziamenti, perché <<la sindrome premestruale non esiste>>.”

Oltre a segnalarci queste situazioni in cui le donne sono considerate invisibili, l’autrice ci rende partecipi di una confessione: “Ero una di quelle ragazzine a cui i programmi scolastici, i media giornalistici e la cultura popolare (tutti contesti da cui le donne erano quasi interamente assenti) avevano insegnato che essere intelligente non faceva per me. Nessuno mi additava esempi di donne (del passato o del presente) da cui trarre ispirazione. Nessuno mi parlava delle donne che si occupavano di politica o lottavano per i diritti delle altre donne; nessuno mi parlava delle artiste, delle scrittrici, delle amministratrici delegate. Se mi si insegnava ad ammirare qualcuno, era invariabilmente un uomo: nella mia mente i concetti di potere, influenza e ambizione hanno finito per associarsi indissolubilmente con la condizione di maschio.”

La Perez è convinta che considerando maggiormente le donne si potrebbero evitare situazioni negative e anche un po’ assurde, come ad esempio accadde nello stato indiano del Gujarat nel 2001 quando vennero costruite case prive di cucina per le vittime di un terremoto, oppure come capitò a Miami nel 1992, dopo l’uragano Andrew, quando vennero ricostruiti i grattacieli e la Camera di commercio invece degli asili e dei luoghi di cura; l’autrice suggerisce che, invece, si potrebbe seguire l’esempio della Svezia dove, nel 2011, il Comune di Kalskoga decise di invertire l’ordine in cui veniva spalata la neve, cominciando dalle stradine e dai marciapiedi frequentati dalle donne anziché dalle strade principali frequentate da uomini in macchina – ne derivò non solo maggiore giustizia sociale (in dieci centimetri di neve, una macchina può muoversi meglio di una donna con un passeggino) ma anche considerevole risparmio pubblico: su strade scivolose i pedoni si fanno male tre volte di più degli automobilisti.

Sì, un interessante scritto questo della Perez che pare, purtroppo per noi, confermare quanto affermava Simone de Beauvoir già nel 1947: “È vero che la donna è fisicamente più debole dell’uomo. Che è schiava delle gravose funzioni riproduttive. Le donne si muovono con difficoltà e goffaggine in un mondo di uomini perché in quel mondo sono ammesse solo come ospiti. Non vi si sentono a casa, è un universo che non è stato creato da loro e che non hanno ancora conquistato.” 1

1 Femininity, the Trap. “Vogue” del 15 marzo 1947