25 Dicembre 2017
Andre Dubus, Un’ultima inutile serata, tr. Nicola Manuppelli, Mattioli 1885, pp. 275, euro 18,00 stampa
Un’ultima inutile serata è la settima antologia di Dubus pubblicata in Italia da Mattioli 1885. Chi segue questo autore straordinario sa che dopo aver pubblicato un romanzo, poi rinnegato, decise di dedicarsi ai racconti: i suoi scritti fanno parte della migliore letteratura breve contemporanea. Non credo che la borsa di studio di 40.000 dollari offertagli da Carver possa essere considerata un caso: lo scrittore americano la rifiutò perché, affermò, non avrebbe saputo cosa farsene dei soldi in una città come Syracuse, dove avrebbe dovuto trasferirsi.
Gli argomenti trattati nei suoi testi e i diversi punti di vista con cui li affronta rinnovano sempre la sua narrativa. Come la maggior parte delle sue antologie, anche questa è tematica: in Un’ultima inutile serata, come suggerito dal titolo, è la sera che lega i racconti. Il passaggio tra il giorno e la notte, il tempo che gli americani inquadrano tra l’aperitivo e la cena è, secondo Dubus, il momento più solitario della giornata: la luce lascia il posto all’ombra e poi al buio, la scomparsa del paesaggio circostante induce le persone a guardarsi dentro. I protagonisti narrano storie che hanno avuto il loro momento di svolta in un’ultima serata che si rivelerà vana.
Dopo il leggero calo qualitativo di Voli separati, pubblicato in Italia lo scorso anno (che però era, non ce lo dimentichiamo, il primo scritto dall’autore), in questi testi editi nel 1986 ritroviamo la conferma di un talento unico. Dubus soffre con i suoi protagonisti, li accompagna nei loro errori, nei loro percorsi, scava nel loro (e suo) intimo senza pietà, li fa convivere con tragici sensi di colpa che li consumano. Non ama le situazioni semplici, e le amicizie o gli amori arrivano sempre alla soglia della disperazione. I suoi personaggi sono persone comuni, senza lavoro o con un’occupazione manuale e spesso instabile, con pochi soldi in tasca, gente che può permettersi, per dirla alla Dubus, di curarsi un esaurimento con una vacanza a Roma. Ma non per questo sono meno sensibili: passano le loro serate al bar tra whisky e birre, parlano delle loro disgrazie con altri disperati compagni di bevute.
La profondità di questi temi resta attuale dopo trenta anni: le descrizioni degli ambienti sono inesistenti o, al massimo, solo accennate. Ciò che interessa Dubus sono i gesti e le parole di persone abbattute che si aggrappano a qualsiasi salvagente per non affogare. Queste peculiarità rendono la sua prosa universale, sia da un punto di vista temporale che ambientale: le sue storie potrebbero svolgersi in qualsiasi angolo di una nostra provincia.
Anche qui l’autore si cimenta nella novella, non più un racconto ma non ancora un romanzo, dove analisi e descrizione dei personaggi, con i gesti, pensieri e le loro tragiche esistenze sono definite e dettagliate. Alcuni dei testi presenti, infatti, sono veri capolavori, una gioia per il lettore che non farà fatica a entrare nella storia e nella psicologia dei personaggi. “Le morti in mare”, che apre l’antologia, ci porta nel 1961 tra i marines, in un’America razzista e ipocrita dove sembra che la discriminazione possa incidere anche sull’amicizia tra un marinaio bianco e uno nero. Non sono loro a mettersi in discussione ma gli eventi e le situazioni che li circondano, con i bianchi che non perdono occasione per schernire i neri, sembrano poter aprire crepe nel loro rapporto.
I tre racconti che chiudono il libro sono probabilmente tra i più belli che abbia mai letto: “La terra dove sono morti i miei padri” è un noir a tutti gli effetti, con un’incursione dentro la comunità dei greci in America che fa da sfondo a un problematico rapporto tra padre e figlia. Gli ultimi due portano i nomi di donne: il primo, “Molly”, parla di una madre che perde i figli per salvarli dalle violenze del marito e che vive il senso di colpa per non aver agito prima; il secondo, “Rose”, di una figlia abbandonata dal padre e del suo contrastante rapporto con una madre che non riesce a essere come vorrebbe. Il suo percorso doloroso e complicato la porterà, alla fine, a lasciarsi l’adolescenza alle spalle.
Antologia densa, con amori disperati che non sempre trovano una redenzione, cambi di punti di vista all’interno dello stesso racconto, scritta con una solidità stilistica e linguistica che lascia un ottimo sapore in bocca: quello dei grandi libri.