Paola Cereda, Quella metà di noi, Giulio Perrone Editore, pp. 200, euro 15,00 stampa
“I segreti sono spazi di intimità da preservare, nascondigli per azioni incoerenti, fughe, sguardi, libertà particolari, il trucco che nasconde l’evidenza, pozze in cui saltare a piedi scalzi, regali senza mittente, errori, vendette. Persone amate. Chi non ha qualcosa da nascondere, ha almeno una verità da raccontare. E la verità, a volte, è il più grande di tutti i segreti.”
Il fulcro delle vicende che coinvolgono la protagonista Matilde sono proprio i segreti. Quella metà di noi è un romanzo particolare, che descrive i legami famigliari così come ben rappresentati dalla delicata copertina. Il bianco e nero di una foglia nel dettaglio che pare essere un albero, ma in realtà è solo una piccola componente delle radici di appartenenza. Siamo tutti troppo occupati a guardare lo strato superficiale della società mentre ci scordiamo, o non siamo più abituati, di osservare le minuzie, i piccoli gesti, le parole dette a bassa voce per timore di porsi un gradino più in alto.
La trama del romanzo somiglia a una torta margherita. All’apparenza forse troppo semplice, banale, scontata, e mentre il lettore ingoia vorace pagina dopo pagina – o fetta dopo fetta – si meraviglia della complessità dell’impasto, delle gocce di cioccolato che a sorpresa spuntano a regalare piacevoli piccolezze. Paola Cereda è riuscita a incastrare Matilde all’interno di un vortice di vite che si incontrano e si scontrano fino a mischiarsi per farle comprendere che anche l’amore è fatto di molteplici vite vissute, ma anche di non detti, gesti sentiti e colpi di testa.
Lei che da quando ha raggiunto l’agognata pensione dopo aver fatto per anni l’insegnante, lei che è cresciuta nel quartiere Barriera di Milano nella città sabauda, una zona al limite tra crocevia di mercati, in cui l’immigrato è il meridionale che si è trasferito al nord ma che rifiuta gli stranieri perché quella è casa sua. Matilde è una donna che si deve reinventare badante di un ingegnere della Fiat per saldare un grosso debito contratto a causa di Amedeo, il suo più grande segreto.
Quando la figlia Emanuela le piomba in casa con una richiesta che nemmeno tanto velatamente risulta una pretesa, Matilde capisce che con lei ha creato solo distanze, non si conoscono madre e figlia. Emanuela ha colto al balzo la possibilità di fuggire da quel quartiere di cui vergognarsi ora che ha sposato un dentista ricco e colto con cui ha nidificato in precollina. Le due donne hanno ridotto al minimo i contatti, e quando dialogano sono solo insulti per una madre egoista che avrebbe fatto meglio a morire al posto del padre.
Con l’ingegnere invece instaura un rapporto differente, lei conosce le sue intimità a causa del lavoro per cui non hanno bisogno di mentirsi o di sentirsi in imbarazzo. Non quando lui le confessa di Beatriz, il suo grande rimorso di una vita felice in Brasile. Nemmeno quando Matilde scopre che a rubare nella grande casa dei signori Dutto in via Accademia non è la domestica romena Dora, bensì la moglie Laura, che ha il vizio del gioco.
Il principale problema di Matilde rimane comunque Amedeo, un uomo amato in passato che l’aveva persuasa a investire in un progetto comune una somma spropositata di denaro, tutti suoi risparmi, il frutto di una vita di sacrifici, in cambio di un futuro insieme lontano da una Torino che non li accettava, che non li considerava degni. Ma a Matilde non riesce neppure un ultimo fiato di coraggio e confessarsi a Emanuela . A lei rimane solo la determinazione di riprendersi ciò le spetta, una verità che non ha mai voluto affrontare ma per cui ora è giunto il momento.
Ci vuole coraggio per mostrare quella metà di noi che abbiamo dovuto omettere per ragioni di testa e non di cuore. Verrebbe dunque da chiedersi la percentuale di calcolo in rapporto alla percentuale di sentimento e di autenticità che si riversano nelle relazioni che intessiamo quotidianamente. Il riflesso onesto di uno spaccato di società che mostra l’emergere di nuovi bisogni e nuove necessità.