Di Giorgio Bona, scrittore eccelso della mia città (Alessandria, fucina di ottime penne di rilevanza nazionale), tutto si può dire meno che scriva sempre lo stesso libro. Sfuggendo con arguzia e forse involontaria strategia, Bona scivola tra generi e filoni (terminologie quanto mai discutibili, lo so) per dedicarsi allo stile e al territorio personale, proponendo una cifra di riconoscibilità qualitativa che non strizza l’occhio ad alcuna tendenza modaiola.
Conosco Giorgio assai bene e posso affermare senza tema di smentita che l’uomo rispecchia lo scrittore e viceversa in un purissimo e mai strumentale gioco di specchi. Giorgio è persona limpida che da quando ha iniziato a scrivere tenta di imporre la sua poetica non facile – riassunta in poche insufficienti parole, l’ibridazione tra le lingue, il dialetto piemontese e l’italiano – e lo fa passando, appunto, tra titoli diversissimi tra loro. Libri che s’intitolano Ciao Trotzkij, La lingua dimenticata della cometa, Erano voci, Chiedi alle nuvole chi sono, Il bosco dei baci spenti, L’allungo del mezzofondista, Sangue di tutti noi, Tav noir, tutte originalissime varianti di riscrittura su zone d’ombra della storia moderna e contemporanea, quasi sempre “condite” con il gusto umoristico del caustico conoscitore del territorio la cui lingua tagliente, a volte poco comprensibile, strappa risate anche amare.
È una sfida complicata quella che si propone Giorgio, tanto ardua quanto affascinante, ma la coerenza di scavare nelle contraddizioni storiche del territorio, dialetto o meno, fila diritta nella sua bibliografia come la pinna di uno squalo. E tanto accade nella sua più recente fatica, Le cicale cantano nel nostro silenzio, dedicato alla dura vita e alla ribellione delle mondine del Vercellese all’inizio del secolo scorso. Raccontato con un arguto stile nazional-popolare che ti incolla alla pagina quasi come un thriller e che riconferma una vena noir di cui il nostro si è nutrito, per esempio, in Sangue di tutti noi e Tav Noir, il libro mette in scena amore, morte e riscatto sociale della vessata manodopera femminile, descrivendo – al di là di inevitabili e necessarie licenze narrative – , personaggi sul serio esistiti quali la famosa Maria Provera, leader delle mondine in rivolta, e l’avvocato Modesto Cugnolio che aderì al socialismo difendendo dentro e fuori i tribunali tante oscure vittime dello sfruttamento padronale.
Mi si conceda l’iperbole, ma lo stile letterario di Giorgio mi ha richiamato alla mente quello filmico e sublime di Bernardo Bertolucci del dittico Novecento, giustamente definito ai tempi un ponte fra il cinema hollywoodiano e il realismo socialista, un’operazione per la quale oggi un autore non ha paura di “sporcarsi le mani” dentro il genere per infilarsi nelle pieghe, anche quelle più scomode della Storia.
Come ho già scritto altrove, la peculiarità di Giorgio è quella di raccontare vicende ardue, quando non politicamente imbarazzanti (vedi la storia di Mario Acquaviva, dissidente comunista ucciso dopo la Liberazione, raccontata in Sangue di tutti noi con la tipica affabulazione immediata dei grandi narratori popolari. Quella sublime dote che ti fa amare da subito i personaggi e ti fa vivere storie realmente accadute come se fossero frammenti di un mondo fantastico – il che non è -, ma resta funzionale all’amore che cresce, di pari passo con la lettura, per la vicenda raccontata. Si respira anche qui un tema sotterraneo di nostalgico rimpianto verso pezzi di culture scomparse, sacrificate da un sistema spiegato in grado di realizzare patti scellerati con la logica del Tempo che tutto (s)travolge. In divenire, oltre le lotte di Maria Provera, ancora una volta quell’amarezza esistenziale che segna da sempre la narrativa di Giorgio Bona si stende sui personaggi e nelle menti dei lettori, costringendoci a un meditabondo silenzio nel quale, appunto, le cicale manifestano sonoramente la loro presenza.
Di Giorgio Bona va infine segnalato lo straordinario gusto nella creazione dei titoli dei suoi romanzi. Non uno della sua bibliografia è nato in qualche redazione di una casa editrice. Le sue poetiche didascalie – capolavori di fluidità descrittiva che restano impressi nell’anima, quali, appunto, Le cicale cantano nel nostro silenzio– sono tutte quante dolorosa farina del suo sacco e spesso partorite ancora prima della stesura dei romanzi. Non si pensi a torto che questo di cui si parla sia elemento secondario per il successo o l’insuccesso di un libro. Un eccellente professionista ne è perfettamente cosciente. E se costui passa ore e ore in solitaria alla ricerca di un titolo in grado di funzionare, per metà ha già capito le dinamiche dell’autentico processo creativo. Costui si chiama Giorgio Bona, sangue ruspante di un Piemonte senza tempo, amato e fantasticato. Sangue di tutti noi.