Hitler è l’oggetto del mio delirio

Steve Erickson, I giri dell’orologio nero, tr. Michele Piumini, Il Saggiatore, pp. 416, euro 25,00 stampa

L’artista dadaista John Heartfield, autore negli anni Trenta di alcuni celebri collage su Hitler, ebbe a dichiarare, a proposito delle sue dissacranti opere, che “Hitler è l’oggetto del mio delirio”. Leggendo I giri dell‘orologio nero di Steve Erickson, romanzo del 1989, edito finalmente in Italia da Il Saggiatore, si comprende finalmente il motivo di questo intreccio perverso ma inevitabile tra Hitler e il delirio degli scrittori contemporanei, tra il nazismo e le avanguardie storiche del Novecento, intreccio che trova negli straordinari collage e fotomontaggi satirici di Heartfield la sua più completa espressione.

Così come i fotomontaggi di Heartfield rivelano al pubblico le vere pulsioni che animavano Hitler, mostrano le motivazioni inconsce di Hitler in tutto il suo squallore, così questo romanzo di Erickson a sua volta smaschera Hitler e lo fa in una trama complessa che unisce la teoria delle pulsioni di Sigmund Freud e la relatività di Albert Einstein: non ha una trama lineare, ma una trama che procede – come in un film – per dissolvenze, per improvvisi salti spaziali e temporali, una trama “quantistica”. I giri dell’orologio nero è un romanzo ucronico, in cui la Storia ha preso una svolta imprevista, e allo stesso tempo è un romanzo intriso di surrealismo e di humor nero, degno di entrare a far parte della celebre Antologia dello humor nero (1940) di André Breton. Un romanzo fondamentale per capire il Novecento e tutto il suo bagaglio di orrore e violenza. Il romanzo del Novecento.

Steve Erickson è – a mio modesto parere – uno dei pochi scrittori statunitensi contemporanei che siano veramente riusciti a scrivere dei romanzi surrealisti, romanzi che introducono il lettore a una dimensione storiografica nuova, una cronologia “quantistica” che non segue soltanto la concatenazione logica degli eventi, ma va a individuare i punti di frattura e di dissolvenza nella nostra storia contemporanea, va a individuare quel momento particolare in cui il Novecento, come un fiume, si è diviso in due, formando un’isola fluviale – l’isola di Davenhall del romanzo – in cui le varie possibilità della Storia si sono divise e hanno preso direzioni diverse, e noi siamo rimasti intrappolati in una di queste.

Erickson riprende chiaramente il topos letterario classico dell’isola dei morti, e sicuramente lo scrittore statunitense mentre scriveva questo suo romanzo così “perturbante” aveva ben presenti sia La Divina Commedia di Dante e alcune celebri varianti romantiche di questo topos letterario nella pittura di Arnold Böcklin, che tra il 1880 e il 1886 dipinse cinque diverse versioni del dipinto intitolato appunto L’isola dei morti (Die Totenisel). E non è un caso che Böcklin fosse uno dei pittori preferiti da uno dei grandi precursori del surrealismo, Giorgio De Chirico. Prima di approdare all’Isola dei Morti, dove i morti prima di essere sepolti vengono appesi agli alberi – in una sorta di bizzarra parodia della crocefissione – fino a quando qualcuno non pronuncia il loro vero nome, la trama del romanzo di Erickson percorre dunque l’altro braccio del fiume della Storia, quello che nessuno di noi aveva mai esplorato, un flusso di eventi storici in cui Adolf Hitler non ha attaccato l’Unione Sovietica, non è morto nel bunker di Berlino nel 1945, ed è diventato un vecchio stanco e bavoso, assistito da un cittadino statunitense che è fuggito dal suo paese natale perché ha sterminato la sua famiglia e ha dato fuoco alla sua casa paterna. 

Il protagonista – che racconta la sua storia quando ormai è soltanto un fantasma  – è un personaggio del tutto particolare, Jannning Bainlight, un tipico ragazzone sbandato cresciuto in una oscura città periferica della Pennsylvania, che, indotto dai fratelli a fare sesso con la sua vera madre, una Indiana, uccide i membri della sua famiglia adottiva e si rifugia a New York dove, dopo varie vicissitudini, diventa uno scrittore di romanzi pornografici molto apprezzato da un suo ristretto pubblico di nicchia, Tra i suoi ferventi lettori vi sono due altissimi esponenti del Partito Nazista, denominati il Cliente X e il Cliente Z. Quest’ultimo cliente altri non è che l’artefice di una svolta nella Storia in cui l’orologio nero del Novecento ha segnato un’ora particolarmente nefasta, cioè l’ascesa del nazismo: Adolf Hitler. Nel mondo surreale creato da Erickson – l’Ucronia del Novecento, Hitler è stato indotto dalla lettura dei romanzi di Bainlight a rimandare l’Operazione Barbarossa (l’Attacco all’Unione Sovietica) e ha invece conquistato l’Inghilterra, impegnandosi in una guerra che negli anni Settanta non si è ancora conclusa. Dunque Hitler non è morto nel bunker alla caduta di Berlino nel 1945, ma per qualche oscuro motivo è andato in esilio e lo ritroviamo dopo tanti anni a Venezia dove è stato incarcerato, senza essere riconosciuto. Qui a Venezia riesce a fuggire insieme al ragazzone di cui sopra, che è l’unico a conoscere la sua vera identità, e si trasferisce negli Stati Uniti, dove nessuno si accorge che in un povero vecchio malandato e malfermo sulle gambe si cela il più terribile dittatore di tutti i tempi, l’uomo più malvagio del Mondo. 

In questo romanzo si immagina una Storia alternativa del Novecento che è stata influenzata dal più improbabile degli artefici, un serial killer statunitense, nonché autore di romanzi pornografici, una Storia in cui sesso e nazismo, pornografia e nazismo, appaiono fin da subito strettamente intrecciati. Si tratta di un filone che vanta illustri precedenti, a partire da tutto un filone di romanzi o di film pornografici nazisti, fino ad arrivare a vere e proprie opere letterarie come il romanzo Running Dog di Don de Lillo (1978), incentrato sulla storia di un fantomatico film pornografico girato nel bunker di Hiitler negli ultimi giorni di vita del Dittatore. In campo cinematografico, senza scomodare gli illustri precedenti de Il portiere di Notte (1974) di Liliana Cavani e Salò, o le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini, basta citare alcuni film italiani come Salon Kitty (1976) di Tinto Brass, L’ultima orgia del Terzo Reich (1977) di Cesare Canevari, e tanti altri esempi. 

In questi ultimi decenni centinaia di studiosi del nazismo e di psicologia delle masse si sono interrogati sulla perversioni sessuali di Hitler, producendo tutto un filone di pubblicazioni che hanno tentato di interpretare il comportamento di Hitler alla luce delle sue ossessioni e delle sue perversioni sessuali. C’è chi ha parlato del micropene del Fuhrer, del suo monorchismo, della sua impotenza, della sua coprofilia, e chi più ne ha più ne metta. Moltissimi studi si sono soffermati sul suo torbido rapporto con la nipote Geli Raubal, che morì in circostanze misteriose dopo un litigio con lo zio Adolf, cui lo legava un rapporto morboso, di cui era stufa e cui voleva sottrarsi, andandosene a Vienna a studiare canto.

È noto che la morte della nipote Geli fece piombare Hitler nel più profondo sconforto, in preda a un senso di colpa che non avrebbe più provato per i crimini successivi, generando in lui una profonda tristezza e la volontà di farla finita. Il fido Strasser – circostanza citata da William Shirer nella sua Storia del Terzo Reich (1960) e riportata anche nel romanzo di Erickson –  gli fu al fianco per giorni e notti, per impedire che si uccidesse. 

Il romanzo di Erickson si incardina su questa torbida storia d’amore tra Geli e lo zio Adolf per riscrivere la storia del Novecento come una storia letteralmente plasmata dalla perversione sessuale e dalla pornografia. Finalmente abbiamo un libro in cui si riscrive la Storia del Novecento in chiave surrealista, seguendo la distruzione del tempo operata da un altro tedesco, Albert Einstein, con la sua Teoria della relatività e dello spaziotempo, portando il lettore in un punto in cui la pulsione di morte e la pulsione sessuale convergono, dove le pulsioni e i desideri inconsci irrompono con impressionante potenza e ci colpiscono con la loro forza ed evidenza. Erickson riprende la storia di Geli e Hitler – riportando all’inizio del libro il resoconto di Shirer – e vi introduce la variante del protagonista statunitense del romanzo, trasformato da un terribile scherzo dei fratelli in un serial killer ricercato dalla polizia federale, che, trasferitosi a New York, diventa un affermato autore di romanzi pornografici, e che, ancora braccato dalla polizia, decide di trasferirsi nel Vecchio Mondo per proseguire la sua carriera di pornografo di successo. Qui, a Vienna, nel 1938, incontra una donna, Dania, e se ne innamora: la prende con violenza e la mette incinta. A un certo punto il lettore comprende che questa donna, Dania, una ballerina dotata di uno strano potere, quello di uccidere gli uomini quando danza, si identifica con Geli Raubal. Da questo rapporto contronatura tra il ragazzone statunitense e la povera ragazza tedesca plagiata dal suo illustre zio, si produce un aborto, un informe ammasso nero che alla fine – a dispetto delle intenzioni di Bainlight, che avrebbe voluto in questo modo punire il vecchio malvagio dando forma a un figlio mostruoso che lo avrebbe tormentato per il resto della sua esistenza – diventerà Marc, il traghettatore canuto dell’isola di Davenhall, novello Caronte dantesco. Marc dunque è il figlio di questa Storia di orrori, Marc altri non è che il Novecento che abbiamo vissuto, è l’individuo cui dobbiamo pagare un prezzo se vogliamo che ci traghetti nel mondo dei morti. In questa mostruosa unione tra Storia e pornografia, tra nazismo e surrealismo, meccanica quantistica e pulsioni inconsce, isola dei morti e isola dei fantasmi, il figlio di Hitler e del Novecento continua a traghettare i morti da una sponda all’altra, fino a quando qualcuno scoprirà chi è veramente e pronuncerà il suo vero nome.