Dov’eravamo rimasti? Ah, già, The Outsider, e nel frattempo c’è stato pure lo specialone di Pulp sull’uomo del Maine. Con The Outsider ci eravamo lasciati andare a una compiaciuta constatazione: King è un mondo, e il mio Hyde (ce l’avete tutti, non dubitate) stava sogghignando, mormorando: Bella scoperta. In effetti, qui arrivati (più di sessanta romanzi, senza includere le antologie, le sceneggiature e la saggistica non fiction) dobbiamo arrenderci e alzare bandiera bianca: King non è un mondo. King è IL mondo. Quello che conosciamo e pure quello che non si vede. E se ancora il malefico Hyde spinge con Capirai, mai letto La Torre Nera?, sono qui a garantire che, con o senza le scorribande del Pistolero nelle Terre Desolate, resta soltanto King a raccontare il destino (un po’ triste) dell’uomo contemporaneo sul nostro sempre più scassato pianeta attraverso la declinazione dei generi popolari, horror in testa.
Ci riesce solo lui? E tutti gli altri che in ogni luogo del pianeta ci provano ma non ce la fanno? Beh, sarebbe un bel dibattito, ma finiremmo col deragliare.
In ogni caso L’istituto fornisce al riguardo una robusta bozza di risposta. A proporne uno sciagurato tentativo di riassunto, le assonanze con gli X Men da giovani all’interno della X-Mansion (l’elegante villa di Charles Xavier ben diversa dal cupo istituto-prigione mimetizzato nei boschi del Maine immaginato da King) appaiono talmente evidenti quanto intenzionali. Ma, se racconti IL mondo, va da sé che ci passi nelle tante, recenti evoluzioni dei generi, tanto quelli filmici che i seriali da piattaforma. Strizzi l’occhio? È un problema? Ti criticheranno?
Ma, insomma, non c’è prodotto, o quasi, del fantastico degli ultimi anni che, volontariamente o meno, non “strizzi l’occhio” a King, per inciso lo scrittore che da mezzo secolo alimenta l’immaginario di chiunque, appassionato o professionista del settore che sia.
Tra le varie critiche (in negativo) che ho leggiucchiato qua e là a proposito de L’istituto, ci stanno quelle che stigmatizzano che la vicenda ricorda un po’ troppo Stranger Things. Sì, appunto, Stranger Things, quella simpatica e spettacolare serie dei fratelli Duffer vista su Netflix in cui la “kinghianità” (Stand by Me e IT, soprattutto), più tanto cinema anni Ottanta, sembra quasi addirittura un marchio di fabbrica. E potremmo chiuderla qui. Intanto, si tratta di quel genere di diatriba da cui non si esce mai.
Invece, per tornare a bomba su L’istituto, sappiate che (se non lo sapete già), abbiamo a che fare con una misteriosa e potentissima organizzazione paragovernativa che rapisce a scacchiera sul territorio degli Stati Uniti ragazzini e adolescenti di ambo i sessi dotati di precoci poteri paranormali per internarli nel lugubre edificio nella foresta e qui sottoporli a uno stomachevole repertorio di esperimenti pseudoscientifici. Dirige le operazioni la luciferina signora Sigsby, che personalmente ho visualizzato con l’altrettanto maligna Mildren Ratched (attrice Louise Fletcher, che forse è un mio fantasma personale, ma se non lo è, ennesima lode a King…) e che una cattiva talmente potente che quasi non riesce a uscire di scena nemmeno quando arriva il suo redde rationem.
C’è un giovane eroe protagonista che parla e agisce un po’ a nome di tutti, quelli che intanto non sono morti e che hanno ancora un po’ di cervello funzionante, e che si chiama Luke e sarà colui che ce la fa, dopo quasi 400 pagine, a evadere da quello che sembra il motel di un film dell’orrore (Chi prende una stanza non ne esce più!) per andare all’appuntamento predestinato con Tim Jamieson in un luogo chiamato DuPray. Perché – mirabile struttura in levare della lunghezza di 40 cartelle – a Tim abbiamo avuto appena il tempo di affezionarci che la scena e i tempi narrativi cambiano di colpo e siamo cacciati dentro a dolorose pedate nel culo nell’inferno dei giovani rapiti in terra americana – King avrà il tempo di informarci che questa porcata succede in tutto il mondo, esistono 20 “istituti” e alla fine governanti, galoppini e servizi segreti corrotti sono tutti d’accordo nello sfruttamento intensivo dei poteri nascosti degli adolescenti. Le metafore a disposizione sono parecchie, approfittatene. Ma quel che conta è che King, come al solito, ti scrolla ben bene per le pudenda e magari questo al “fedele lettore” potrà sembrare scontato e addirittura qua e là instillare sensazioni illusorie di déjà vu o di noia.
Ma tu, fedele lettore, stai cannando alla grande.
Premesso che a chi ha scritto IT, Shining o La Metà Oscura, non potresti, non dovresti, chiedere altro, prova a leggere L’istituto con il cuore e con i visceri – e un po’ meno con la logica. Scoprirai un ultrasettantenne che ancora avverte il desiderio e l’esigenza di denunciare il Potere e la sporca politica. Magari divertendosi o facendo buffe comparsate nei film tratti dai suoi libri, vedi il negoziante nella seconda parte di IT di Muschietti. Ma alla fine se King è il Mondo e quest’ultimo è in rotta di collisione con l’Apocalisse, che colpa ne ha lo scrittore? Gli concediamo o no di essere un pochino appannato o magari impaurito?