2003 – si pubblicava in quel di Rimini, presentato da Alberto Bertoni, il primo libro di quella che negli anni successivi sarebbe diventata una trilogia di chiara e manifesta poesia. Diario del pane, di Stefano Massari, separava il “prima” da un tempo presente in cui le dissonanze venivano passate al vaglio del discorde. Con norme messe a dura prova dalle complicazioni sintattiche, dall’assenza totale degli a capo consueti nelle linee tipografiche riguardanti la poesia. Ma “non cascami ermetici” (come suggeriva Bertoni) nel nucleo del libro, se mai l’urgenza di definire per bene il significato della parola “guerra” nella storia dell’uomo in quanto stupido fondamento contro il pane – essenza dei vivi. Il pane di Mandel’štam ritorna nel nostro secolo, il pane dell’epoca e di tutte le epoche quando si fa corpo della comunità, e tutti i suoni sono chiamati a raccolta. Suoni politici perché la guerra non finisce, mai, suoni che affondano e riemergono dai piccoli corpi nati, che ancora nascono, per fortuna dei padri.
Nel 2006 il nuovo – secondo – libro di Massari, partitura di una preghiera estrema, non soltanto una raccolta di poesie. L’impuro nel Libro dei vivi è la certa verità fatta poesia, quando ci trafigge senza scampo. L’impuro è il sangue della nascita, persino i baci si scambiano sante impurità, persino lo scambio di parole a bassa voce stando vicini l’uno all’altro. Ecco come questo libro riesce a farsi nutrimento per la bestia, e bestia allo stesso tempo, che di natura umana è imbevuto, che sembra sgorgato direttamente da una vena del torace. Il pane sporco perché ha toccato terra, quella gelata di Osip e quella arida ma non morta dei Padri del deserto, ecco di che si tratta quando apriamo il libro e ci sentiamo spalancare lo stomaco come tornassimo ragazzi, come sfogliassimo nuovamente quel Feltrinelli dalla copertina gialla, dove dall’ovale della copertina spuntava Rimbaud bambino. Ma molto sangue è trascorso, lager e Hiroshima e Twin Towers sono già avvenuti, il male dell’amore si è sparso da un secolo all’altro e tutto questo Stefano ha potuto metterlo a dimora nella propria poetica.
2009: è la volta di Serie del ritorno, prosegue e si conclude il bel programma messo in scena da Massari e calato senza mezzi termini al centro di coloro che cercano un’equivalenza di vita, lavorando nel ferro del tempo, sempre più allarmante considerando l’estesa malvagità attuale. Ma la fedeltà a un dettato ancora umano avviene tutta nel credere alla parola, quella che combatte la malattia, e resiste.
In questo bastardo 2024 la rabbia scavalca ancora una volta i campi protetti dei singoli libri, dei tre libri che Parlo ultimo oggi riunisce non modificati ma con alcune “correzioni metriche e visive”. Così annota Stefano dopo che Gian Mario Villalta, al termine di questo volume (esteticamente bianchissimo in copertina, dove possono posarsi le impronte grigie di due mani – grafia di chi vive), spiega come Celan intendesse esortare, pur “ultimo”, un io messo in croce dalla storia e dalla ferocia umana. Tardivo no, non si sa rispetto a che cosa. Massari viene dopo, in ogni caso, un lungo silenzio – dal 2009 al 2022, quando il tempo viene spezzato dalla pubblicazione di Macchine del diluvio. I segni delle rovine ora sono tutti qui riuniti, nell’ultimo libro che torna come possibilità consegnandosi all’abissale continuità della poesia.