Non è un mistero che non solo la bibliografia delle opere di Philip K. Dick, ma soprattutto quella sull’autore americano costituisce da sola una discreta biblioteca: basti scorrere anche solo per curiosità le dieci pagine di titoli in appendice a questo volume. Non stupisce che risulti difficile dire ancora qualcosa di nuovo – e allora ecco che la collaudata coppia Carducci-Fambrini trova una strada originale.
Quando ho cominciato a leggere fantascienza negli anni Settanta, e Dick era ancora vivo, sugli scaffali delle librerie era soprattutto Isaac Asimov a farla da padrone; e se parlavi di fantascienza a chi non l’aveva mai letta, questi solitamente era in grado di farti solo quel nome, Asimov. Negli anni la situazione è lentamente cambiata, a mano a mano che la generazione di lettori nata negli anni Cinquanta e Sessanta si sostituiva alla precedente, soprattutto a partire dal cyberpunk: finalmente Dick ha conquistato la considerazione che gli spettava, non solo da parte dei fan. Si è cominciato a pubblicare Dick anche fuori dalle case editrici di genere (per es. è approdato a Sellerio), e Mondadori che ne ha acquisito il catalogo potrebbe addirittura dedicargli un Meridiano.
Oggi la situazione sta di nuovo cambiando, e la fantascienza si rivolge a un pubblico sempre più conservatore; ma è in continua evoluzione, e la drammatica crisi di vendite della science-fiction, unita al fatto che per decenni si è alimentato il gusto del pubblico con film carichi di effetti speciali che hanno il corrispettivo in una rivincita della fantascienza avventurosa e disimpegnata, cambiano di nuovo il panorama editoriale.
Stefano Carducci e Alessandro Fambrini hanno impostato il loro saggio, sottotitolato “tossine metaboliche e complessi illusori prevalenti”, in due parti distinte. Nella prima Carducci traccia un breve excursus del Dick scrittore, attraverso le sue opere più significative, senza nascondere alcuni punti fermi: il carattere frettoloso, sciatto, pieno di loose ends delle sue opere, soprattutto nel primo periodo, e una pervicace misoginia sulla cui natura si interrogherà Fambrini nella seconda parte.
Le conclusioni di Carducci sono condivisibili, e già contengono implicitamente la risposta alla sua domanda: “perché si dà tanta importanza a un autore di romanzi imperfetti, imprecisi, pieni di difetti e di buchi e scritti con scarsa cura formale? Che cos’ha di tanto rivoluzionario? Perché quello che per alcuni, me compreso, è un’accozzaglia confusa di temi che fanno a pugni uno con l’altro per tanti è complessità di visione?”
Originale è il taglio della seconda parte. Fambrini, esperto di letteratura tedesca e nordica, si impegna a individuare nei temi di Dick una affinità di temi con un autore come August Strindberg, un’ispirazione finora non riconosciuta. In effetti, la peculiare misoginia di Dick sembra trovare ideale precursore in alcuni testi dello scrittore svedese. Di notevole rilievo è infine l’analisi che Fambrini conduce della trilogia americana dello svedese Lars Gustafsson, vissuto a lungo negli USA: i libri, tradotti anche in italiano per Iperborea (Storia con cane, Windy racconta e Il decano), hanno tra i personaggi lo scrittore Anthony Travis Winnicott nel quale gli appassionati riconoscono perfettamente il nostro scrittore di fantascienza.
Tossine metaboliche e complessi illusori prevalenti è interessante sia per chi ritiene di sapere tutto o quasi su Dick, sia per chi volesse avvicinarsi alla sua vasta opera senza passare dal cono d’ombra del mito.