DeepMind, l’intelligenza artificiale di Google, ha annunciato recentemente la scoperta di 2,2 milioni di nuovi materiali inorganici. Quelli conosciuti finora nel campo della chimica erano 40.000: i dati, che dovranno essere vagliati dagli scienziati in laboratorio, raccontano in ogni caso di una rivoluzione spettacolare, che modifica l’ordine di grandezza su cui si baserà la nostra conoscenza futura. Cosa c’entra DeepMind con un libro che settanta anni fa, in un mondo completamente diverso dal nostro, e in un’epoca che aveva da poco metabolizzato l’atomica e la nascita della cibernetica, si proponeva di indagare il nostro prossimo futuro? C’entra perché per Stanisław Lem, uno dei principali autori science fiction del secolo scorso – e uno dei maggiori scrittori polacchi – il progresso della scienza a cui la nostra specie ha affidato il proprio destino sarà anche o soprattutto una questione quantitativa a cui far fronte per vagliare le nostre materiali opzioni di vita. Una questione che per Lem riguarderà inevitabilmente i temi della virtualità del sapere e lo sviluppo di intelligenze artificiali.
Summa Technologiae esce in prima pubblicazione nel 1964, è tradotto in inglese soltanto una decina di anni fa e oggi finalmente viene edito anche in Italia da Luiss, a cura di Luigi Marinelli. Lem, che alterna saggi di carattere scientifico all’attività letteraria vera e propria, è un quarantenne che ha già dato alla luce i suoi maggiori romanzi (La nube di Magellano 1955, Pianeta Eden 1959, Solaris 1961) ma non ha ancora raggiunto la notorietà che in Occidente arriverà solo con il film di Tarkovskij (Solaris, 1972). Come ha osservato alcuni anni fa un futurologo italiano[1]: “A leggere la sua Summa Technologiae (..) c’è da mettersi letteralmente le mani nei capelli. Lem era talmente in anticipo sui tempi che alcune delle speculazioni di questo suo libro stanno ritornando solo oggi nei discorsi più avanzati dei tech-titani della Silicon Valley”. E, detto come va detto, Yuval Noah Harari oggi gli spiccerebbe casa.
Lem smonta per prima cosa proprio ciò che invece ti aspetteresti da un autore di fantascienza che ha narrato di astronavi ed equipaggi in rotta verso lontani pianeti, vale a dire l’idea che la nostra specie sia destinata a espandersi indefinitamente agli angoli dell’universo, un’ipotesi che negli anni Sessanta, all’indomani dello Sputnik e delle prime missioni Gemini, a una manciata di anni dal primo allunaggio umano, sembra incarnare lo spirito del suo tempo, accreditata anche nell’immaginazione popolare da Star Trek. Analizzando i riscontri del progetto SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), un’istituzione nata con l’obiettivo di captare e ricambiare i segnali provenienti da ipotetiche civiltà extraterrestri, si mostra scettico. La piega che il libro intende imprimere alla nostra riflessione infatti è tutt’altra: il viaggio umano non userà astronavi ma grazie allo sviluppo della cibernetica si rivolgerà verso noi stessi e la costruzione di nuovi mondi. Un viaggio che non si preannuncia breve né senza problemi, né soprattutto privo di inattesi scenari antropologici e di ramificate complicazioni etico-scientifiche. In Summa Technologiae il futurologo Lem si rivela così in sorprendente sintonia con lo scrittore James Ballard. L’autore di Leopoli, che dice di non amare la metafisica, affronta questa prospettiva da un punto di vista il più possibile fattuale e materialistico, per sua ammissione spesso necessariamente “grossolano”, con una profusione di scenari e di ipotesi avveniristiche che prendono le mosse dalle acquisizioni scientifiche (teoria dell’informazione, neurofisiologia, genetica, ecc) più avanzate del suo tempo. Lo fa, per inciso, inventandosi strada facendo anche un lessico tutto suo. Lo sviluppo dell’Intelletronica – cioè dell’Intelligenza Artificiale – nasce così dalla domanda di scienziati artificiali – cioè di modelli computazionali e linguistici informatizzati – che l’evoluzione della nostra specie richiederà per tenere il passo con l’aumento esponenziale dell’informazione disponibile. Di qui l’adeguamento delle scienze, destinate ad abbracciare il paradigma della simulazione e a interpretare un ruolo sempre più simile a una “metodica follia” contrapposta al caos informazionale circostante. Ma anche il salto delle stesse società nella dimensione della vita artificiale, ossia della Fantomatilogia, il termine coniato da Lem per indicare le nostre attuali “realtà virtuali”. In che misura le istituzioni umane sapranno resistere alla narrazione/tentazione dell’onnipotenza? In quale invece questa computazione automatica ci aiuterà a comprendere il mistero della coscienza in termini di omeostasi? Lem, che analizza con decenni di anticipo l’ipotesi della singolarità e fa a pezzi le fantasie sull’upload della mente, si chiede alla fine se tutto ciò potrà fornirci anche le chiavi di un aldilà virtualmente reale ma realmente diverso dall’Inferno. Nel 1964 del resto il mondo si è appena ritratto dall’orlo del temuto olocausto nucleare, le lancette prossime alla mezzanotte hanno fatto un passo indietro. Il mondo è diviso in due blocchi e il capitalismo non è ancora diventato l’ipermercato di qualsiasi futuro immaginabile. Lem – che Philip K. Dick nella sua follia paranoica denuncerà all’FBI come oscuro agente al soldo dei sovietici – questo ancora non lo sa. E osserva, scettico ma imperterrito, le prossime articolazioni della specie umana emergere dalle rovine del secondo dopoguerra.
[1] Stanisław Lem, miti scientifici, Roberto Paura in Quaderni d’altri tempi, 30 ottobre 2017 https://www.quadernidaltritempi.eu/summa-technologiae-miti-scientifici/