Spoon River ucraina

Il russo Victor Melamed dal 25 febbraio 2022 giorno per giorno disegna e compone un elenco dei morti civili in Ucraina. Adesso anche la scrittrice e poetessa Viktorija Amelina (1986-2023) ha trovato il suo posto nella triste conta della Spoon River ucraina. Ma a differenza dei morti sulla collina di Edgar Lee Masters i morti ucraini compresi quelli di cui parla Vassiliji Grossman non sono acquietati e come spettri ancora si aggirano e continuano a infestare la tragica storia ucraina.

È più difficile onorare la memoria dei senza nome che non quella degli uomini famosi e celebrati. Walter Benjamin, Sul concetto di storia

Viktorija Amelina, 37 anni, scrittrice, poetessa, vincitrice del Premio Joseph Conrad. Era un membro del gruppo Truth Hounds, che indagava sui crimini di guerra in Ucraina. È rimasta gravemente ferita il 27 giugno quando un missile Iskander è entrato nel ristorante Ria Lounge di Kramatorsk, dove stava cenando con un gruppo di scrittori e giornalisti colombiani, che accompagnava come interprete. Anche tre di loro sono rimasti feriti. Viktorija è morta quella notte in ospedale”.

Sono le scarne parole di Victor Melamed, un artista di Mosca, che dal 25 febbraio 2022 disegna un ritratto al giorno delle vittime civili ucraine e le pubblica sul suo instagram @oldoldanimal con l’hashtag #следуетпомнитьтермин #collateraldamage

Viktorija non è il primo poeta a morire a causa dell’invasione e non è il primo disegnato e ricordato da Victor Melamed.

Nel maggio 2022 era morto: “Anatoly Nikolin, 76 anni. Morì a Mariupol insieme alla figlia e alla nipote. Su emlira.com c’è un ciclo di poesie in memoria della moglie defunta:

Lascio andare tutti. Nessun prete, nessun rabbino
In un cimitero morto dove giacerà il tuo prezioso corpo.
E solo la pianura, la nostra grande pianura,
Ti abbraccerà e, come una madre, ti bacerà timidamente.”

La morte ci rende uguali ma il modo di morire e le cause della morte appartengono all’ingiustizia. I 600 migranti morti nell’Egeo sono morti come i 6 turisti alla ricerca del Titanic ma non sono uguali.

Ma anche chi muore per la stessa causa o ingiustizia o per un effetto collaterale della guerra è un singolo, con una sua storia, una mamma, un figlio, una passione.

Vasilij Grossman in Ucraina senza ebrei (Adelphi, 2023) scrive del silenzio che lo accoglie in Ucraina dopo l’invasione nazista e prima di partire per il fronte come corrispondente di guerra. “Niente parole” “Un popolo ucciso”. Grossman è autore di opere monumentali come Stalingrado e Vita e destino, questo è invece un piccolo librino – del quale vale la pena leggere nella breve introduzione le vicende editoriali fra silenzi e omissioni – che esce nel 1943 ed è una riflessione sul carattere genocidario del regime nazista. Uccidere gli ebrei per la sola ragione di essere ebrei.

In questo popolo a nome comune si immerge Grossman cercando di strapparlo al silenzio. Comincia così un elenco dei mestieri e delle professioni di cui si compone un popolo: “sarti, cappellai, ciabattini, stagnai, orafi, imbianchini, pellicciai, rilegatori,..” ma anche delle classi – perché un popolo è un insieme di classi sociali – dagli intellettuali agli operai, dai ricchi ai poveri. Ed hanno ucciso anche le persone per bene e quelle per male, gli sciocchi e gli intelligenti, le donne traditrici e quelle fedeli, i sordi e i musicisti e naturalmente i bambini. “[…] uccisi i bambini di due anni e quelli di tre […]”. Grossman non ci lascia requie in questo lungo straziante elenco.

E vengono “uccisi gli ingegneri metallurgici, i costruttori di ponti e di locomotive, gli architetti; uccisi gli esperti di strade e di coltivazioni, gli agronomi e gli agrimensori;” a “Poltava, Char’kov, Kremenčug, Borispol’ e Jagotin” , viene ucciso così anche un territorio, le città, le relazioni che fanno vivere un luogo, e la memoria che viene recisa alle basi.

Molti anni dopo Viktorija Amelina, scrive in un suo breve saggio del groviglio di memorie amputate e contrapposte del ‘luogo più mortale sulla terra durante gli anni ’30 e ‘40”.

Il posto di cui parla Amelina è Lviv (o L’vov, come la chiamano i russofoni), Leopoli, la città dove sono arrivati i suoi nonni fra gli anni ’50 e ’70, dove è nata nel 1986 e dove nessun abitante avrebbe saputo dire come era la città prima della guerra quando gli ebrei erano 110.000 mentre alla fine della guerra ne erano sopravvissuti meno di mille.
Un luogo dove “i silenzi sui genocidi si sovrappongono e si traspongono”.
Silenzi che riguardano l’Holodomor – di cui Grossman parlerà nel suo ultimo romanzo testamento Tutto scorre… (Adelphi, 2010) – ma anche lo stesso genocidio nazista, compresa la liquidazione del ghetto di Leopoli e i progrom fatti con l’ausilio dei nazionalisti ucraini. Meglio che il passato rimanga sepolto e che il complesso di colpe non venga alla luce, nel caso anche il patto Molotov-Ribbentrop.
Con la caduta dell’Unione Sovietica i libri di scuola verranno riscritti e gli studenti dovranno così memorizzare più storia per superare gli esami, certamente quella dell’Holomodor ma anche quella dell’Olocausto.

Amelina scrive che “il passato ci perseguita, anche se non possiamo sempre collegarci direttamente ad esso attraverso la nostra storia familiare”. La sua famiglia è sopravvissuta all’Holodomor ed è andata ad abitare in una città stregata dove vivevano fantasmi che non si erano ancora mostrati: le tracce degli ebrei non erano visibili. Perdurava il silenzio di cui parla Grossman, niente collegava la bellissima città attuale al suo terribile passato. C’è voluto del tempo perché Amelina iniziasse a chiedersi chi avesse abitato nell’appartamento dei nonni, cosa era successo a quelle persone. Fra i vicini di casa dei nonni di Amelina c’era anche l’autore di Solaris Stanisław Lem una delle poche persone di origine ebraica sopravvissute all’Olocausto del quale non ha mai voluto scrivere. Lem sarà uno dei personaggi del romanzo di Amelina Дім для Дома (Home for Home, 2017) insieme a un ufficiale dell’URSS sopravvissuto all’Holomodor: un sopravvissuto all’Holodomor che vive nell’appartamento dei sopravvissuti all’Olocausto.

“La trama è un cliché: il protagonista si trasferisce in una vecchia casa. All’inizio tutto va bene, ma presto apprendiamo che la casa è stata teatro di un raccapricciante omicidio. Il crimine è avvenuto molto tempo fa; gli assassini non sono più una minaccia. Tuttavia, il personaggio è nei guai: la casa è infestata. Il passato ha avvelenato il posto”.

A cosa serve la letteratura se non a dare un nome a quei fantasmi, a “non chiudere una conversazione” ma ad aprirla? A invitare i fantasmi senza nome a casa invece di scacciarli…

Ci sono libri che sono antologie di biografie di morti. Ad esempio Cartoline dai morti di Franco Arminio (2010). Molti civili ucraini potrebbero far proprie le parole del poeta: ”Io sono uno di quelli che un minuto prima di morire stava bene”. Poi arriva un missile iskander e la vita finisce.

Il più famoso che molte generazioni hanno letto o ascoltato nel disco di De André (Non al denaro non all’amore, né al cielo) è naturalmente l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Dalla collina i morti rimemorano cosa sono stati in vita e tutti ricordano il momento del trapasso. Tutti hanno un nome e tutti sono vicini l’uno all’altro anche se in vita si sono ritrovati su sponde opposte. La morte li acquieta e paradossalmente li concilia. II giudice che ha mandato a morte e il piccolo ladro, la ragazza violata e il suo violentatore… La morte diventa una sorta di giustizia postuma.

Ma i crimini contro l’umanità, i genocidi, sono perdonabili? Amelina risponde che no, che non è sicura che i colpevoli di questi crimini abbiano diritto a una seconda possibilità, ma si dice sicura che questa possibilità si debba dare a ogni città, affinché possa di nuovo diventare una casa per le nuove generazioni, “un luogo in cui conosciamo e onoriamo i nostri vicini nel tempo”. Una possibilità anche per quel popolo senza voce di cui scrive Grossman.

Si sa la morte è intempestiva e non priva di una macabra ironia, chissà se Viktorija prima di essere colpita alla testa stava pensando al lavoro di denuncia e di raccolta di prove dei crimini fatti dai soldati russi in Ucraina e se e come potessero essere perdonati.

Di certo i civili ucraini morti – oggi, in questo momento – non hanno bisogno di un ripensamento poetico di una riflessione postuma da parte del loro cantore Melamed, perché è la guerra a costringere l’autore a un continuo lavorio e a tenere fede al proprio progetto, fornendo ogni giorno corpi nuovi e storie delle quali diligentemente Melamed tiene memoria. Un libro contabile a futura memoria. Cosa ne sarà di questi morti, come ne verrà elaborata la memoria per ora non lo possiamo sapere.