Ci sono scrittori riconoscibili dall’incipit: le loro peculiarità sono così evidenti che un lettore attento non fatica troppo a individuarli. Sono anni che Piersandro Pallavicini ha trovato la sua cifra narrativa, uno stile ironico che vira spesso verso il sarcasmo e la satira, un’eleganza che viaggia sui binari della raffinatezza, una leggerezza nella narrazione che è figlia di una ricerca letteraria incessante: l’autore lombardo è erede della migliore tradizione della commedia brillante che affonda il bisturi nel marcio della società.
Ricercatore nel campo della nano-chimica inorganica, Pallavicini è un lettore colto e quindi, di conseguenza, un ottimo scrittore: probabilmente per questo non dimentica di citare nel libro, in una sorta di omaggio, gli scrittori a lui cari, a partire dai Palandri, Tondelli e Piersanti che hanno dato vitalità alla letteratura italiana degli anni Ottanta e che hanno senza dubbio ispirato il suo debutto narrativo, avvenuto nel 1999, con Il mostro di Vigevano pubblicato dalla peQuod.
Sara Brivio non è mai arrivata al successo – è stata una scrittrice di livello medio basso – e si è sempre arrabattata scrivendo articoli per riviste e quotidiani. Abbandonata dal marito Giorgio e ripudiata dalla figlia Monica che non vuole più vederla, la donna vive sola in un anonimo condominio di Vigevano quando le arriva un’inaspettata sorpresa: il padre che lei definisce escrementizio, perché ha abbandonato lei e la madre malata terminale sparendo nel nulla anni prima, le lascia un’eredità milionaria. Oltre a un capitale immenso, una rendita mensile che si aggira sui due milioni di euro. Non è il caso di soffermarsi sui motivi di questi due avvenimenti perché sarà un piacere, per il lettore, scoprirli durante la lettura. Chiaramente la vita di Sara cambia: acquista una casa nel quartiere più esclusivo di Milano, le Cinque Vie, dove vive con Fanny ed Elena, scrittrici di nicchia e forti lettrici come lei, e la domestica, l’anziana Gianna. Nonostante sia al centro di una metropoli, la casa gode di una privacy particolare che concede alle tre donne anche di stare in giardino a prendere un’abbronzatura integrale leggendo o scrivendo. Ma l’amore per la letteratura – o forse la spocchiosità e la scarsa autorevolezza di molti concorsi letterari – la fa decidere di istituire il Premio letterario Brivio: organizzazione e giuria anonime – in realtà le tre amiche – e un regolamento del concorso fatto apposta per premiare autori poco conosciuti ma meritevoli con cinquecentomila euro.
Sara a sessant’anni si trova a vivere una vita che prima si sognava: parte improvvisamente per Vienna per assaggiare la vera Sacher comprando tre biglietti in classe business per stare più comoda in cabina, dorme negli alberghi più lussuosi, mangia nei ristoranti più costosi e spende per un aperitivo in centro qualche centinaio d’euro. Ma non è questo che la gratifica, che la soddisfa; c’è sempre sullo sfondo una mancanza o un’assenza – della figlia? del marito? della buona letteratura? – che non viene riempita dall’agiatezza economica. E in un susseguirsi di situazioni strane, esagerate ed esasperate, situazioni che solo la penna di Pallavicini riesce a rendere credibili, il romanzo ci parla di noi, del nostro mondo, di come la letteratura in questo caso, ma l’arte e la cultura in generale, rappresentino forse l’unico elemento salvifico in un periodo storico in cui la conoscenza, la cultura e le differenze sono derubricate a elementi disturbanti anziché ad arricchimento, come fossero ostacoli nel cammino di una globalizzazione che tende a uniformare pensieri, comportamenti e scritture.
Piersandro Pallavicini ne ha per tutti, e con una narrativa a trecentosessanta gradi indaga sull’attualità, tenendo sempre a mente che il contenuto, nella letteratura di oggi come nella vita quotidiana, si riduce a una scatola vuota se non è sostenuto da una forma adeguata.