“Molti di noi provano gioia nel guardare indietro e fare il punto sulle nostre vite da lettori”: così inizia l’introduzione alla lista dei 100 migliori libri del XXI secolo (100 Best Books of the 21st Century), pubblicata il 12 luglio del 2024 dal New York Times e compilata dalla redazione della New York Times Book Review valutando il voto di 503 esperti, tra i quali autori e autrici molto note nel mondo di lingua inglese come Pico Iyer, Stephen King, Scott Turow, Nick Hornby, Jonthan Lethem, Junot Diaz e Marlon James, oppure personaggi in vista come Sarah Jessica Parker, altrove definiti anche “luminari della letteratura” ovvero “romanzieri e saggisti, accademici, editor, giornalisti, critici, editori, poeti, traduttori, librai e bibliotecari”.
Una classifica o un canone?
Ma si tratta di una classifica o di un “canone”?
Entrambi sono dispositivi discorsivi non neutri, orientati alla diffusione di una certa quantità di opere selezionate secondo criteri stabiliti da gruppi limitati di decisori. Diversamente da un canone, una classifica non è prescrittiva ma la rappresentazione sintetica e ordinata di una raccolta quantitativa di dati. E tuttavia, quando si chiamano in causa degli esperti e non dei semplici lettori la faccenda si complica e nel momento in cui l’“ambizioso progetto” si rivela quello di “determinare i libri più importanti, influenti dell’epoca” allora siamo già nel campo prescrittivo di opere che resteranno di questo primo quarto di secolo.
D’altro canto liste e classifiche fanno sempre più parte di giochi divertenti che innescano dibattiti animati in un’epoca in cui la condivisione di informazioni sui social network vive di titoli e sintesi per guidare ed orientare, il più rapidamente possibile, lettori e consumatori e per nutrire i famelici algoritmi che si riproducono proprio attraverso l’inesausto processo di classificazione e categorizzazione.
Del resto è impossibile negare che venticinque anni rappresentino un campione significativo per fare bilanci che abbiano un certo valore conoscitivo sul tempo che viviamo. A pensarci bene, i primi venticinque anni del XX secolo avevano visto la pubblicazione di libri oggi considerati testi imprescindibili del canone occidentale moderno e contemporaneo come Buddenbrooks (I Buddenbrook, 1901) di Thomas Mann, La strada di Swann (Du côté de chez Swann, 1913) che dava inizio alla Recherche di Marcel Proust, La linea d’ombra di Joseph Conrad (The Shadow Line, 1916), Ulysses di James Joyce (1922), La terra devastata (The Waste Land, 1922) di T.S. Eliot, tra gli altri.
Nella panoramica offerta dai 503 esperti interpellati dalla New York Times Book Review ci sono 53 autrici (che occupano anche le prime tre posizioni) e che dei restanti 47 autori 15 non sono maschi bianchi di mezza età. Ben 53 testi sono stati pubblicati negli anni Dieci e, complessivamente, ci sono solo 12 libri tradotti – benché tre si piazzino nei primi dieci posti, una al primo: L’amica geniale (2011) di Elena Ferrante – il che rivela la cifra piuttosto anglocentrica di questo elenco. Fatto non del tutto imprevedibile, verrebbe da pensare anche senza avere in mano i dati delle traduzioni nel mondo di lingua inglese.
Una lista (non) del tutto prevedibile
Altrettanto prevedibilmente troviamo due libri di Philip Roth – La macchia umana (The Human Stain, 2000) e Il complotto contro l’America (The Plot Against America, 2004) – e La strada (The Road, 2006) di Cormac McCarthy. Ci sono libri di culto planetario, alcuni dei quali hanno certamente segnato l’epoca: Austerlitz del tedesco W.G. Sebald (2001) e due romanzi del cileno Roberto Bolaño: I detective selvaggi (Los detectives salvajes, 1998) e 2666(1998), Middlesex (2002) di Jeffrey Eugenides, Denti bianchi di Zadie Smith (White Teeth, 2000) presente anche con Della bellezza (On Beauty, 2005), il sorprendente Quando abbiamo smesso di capire il mondo (Un verdor terrible, 2020) del cileno Benjamín Labatut e Gli anni (Les Années, 2008) della premio Nobel 2022 Annie Ernaux.
Una rappresentanza decisamente folta è quella degli scrittori e delle scrittrici africano-americane e della diaspora nera: oltre alla già citata Smith, troviamo Jesmyn Ward con ben tre libri: Sotto la falce (Men We Reaped, 2013), Salvare le ossa (Salvage the Bones, 2011) e Canta, spirito, canta (Sing, Unburied, Sing, 2017), c’è la premio Nobel del 1995 Toni Morrison con Il dono (A Mercy, 2008), il romanzo di culto anche in Italia di Colson Whitehead La ferrovia sotterranea (The Underground Railroad, 2016) che è al settimo posto, Breve storia di sette omicidi (A Brief History of Seven Killings, 2014) del giamaicano Marlon James, il commovente memoir (sulla scia di James Baldwin) di Ta-Nehisi Coates: Tra me e il mondo (Between the World and Me, 2015) e infine un romanzo di una delle trilogie fantasy (genere piuttosto trascurato dalla lista, così come la fantascienza) di N.K. Jemisin La quinta stagione (The Fifth Season, 2015).
Il romanzo nelle sue forme certamente molteplici e ibride la fa da padrone anche se, come da tradizione nordamericana, trovano molto spazio biografie, saggi storici e soprattutto racconti: è il caso di Alice Munro, presente con le due raccolte In fuga (Runaway, 2004) e Nemico, amico, amante (Hateship, Friendship, Courtship, Loveship, Marriage, 2001) e George Saunders presente con le due raccolte Pastoralia (2000) e Dieci dicembre(Tenth of December, 2017), nonché con il suo unico romanzo al 18esimo posto: Lincoln nel Bardo (Lincoln in the Bardo, 2017). Non poteva mancare l’11 settembre con il reportage di Lawrence Wright Le altissime torri. Come al-Qaeda giunse all’11 settembre (The Looming Tower. Al-Qaeda and the Road to 9/11, 2006). Il reportage a sfondo sociale che forse non ti aspetti è il potentissimo Una paga da fame (Nickel and Dimed, 2001) di Barbara Ehrenreich che con notevole empatia attraversava il mondo delle lavoratrici domestiche e delle multinazionali delle pulizie in Nord America.
Una menzione speciale merita certamente la presenza due graphic novel: il rutilante e divertente commovente Persepolis (2000) di Marjan Satrapi tra i libri che hanno certamente inaugurato il secolo illuminandolo di forza critica e ironia anche feroce e il commovente Fun Home. Una tragicommedia (Fun Home, 2006) di Alison Bechdel sull’identità di genere e i difficilissimi rapporti familiari costellati di violenza e segreti.
La poesia, invece, è sostanzialmente assente, fatta eccezione per Citizen. Una lirica americana (Citizen, 2014) di Claudia Rankine. E questo apre altri scenari sulla classifica.
Cosa manca?
In effetti, ciò che manca balza ancora di più agli occhi rispetto a quello che in effetti c’è e questo è uno degli effetti (in)desiderati di classifiche e liste, in generale. Selezionare attraverso meccanismi di inclusione/esclusione produce privilegiati e vittime, spesso illustri.
Restando alla cifra anglofila della classifica, tra gli esclusi c’è l’enigmatico Thomas Pynchon, del quale almeno Contro il giorno (Against the Day, 2006) avrebbe meritato un posto; manca Stephen King del quale viene da pensare al celebrato 11/22/63 (2011). Ci si chiede come possa non esserci Ogni cosa è illuminata (Everything Is Illuminated, 2002) di Jonathan Safran Foer: tra i più originali romanzi mai scritti sull’Olocausto con sapienza storica e una vena di ironia sull’Europa post-1989. Manca lo scomodissimo e vulcanico William T. Vollmann e questa non è proprio una sorpresa, quanto invece appare sorprendente l’assenza del celebrato best seller internazionale Una vita come tante (A Little Life, 2015) di Hanya Yanagihara
Complessivamente, sono del tutto assenti l’Africa e l’Asia, fatta eccezione per Americanah (2013) della nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie. E viene subito da pensare al romanzo Lo sguardo del leone (Beneath the Lioon’s Gaze, 2010) dell’etiope Maaza Mengiste e al modo nel quale intreccia la Storia dell’Africa orientale – colonialismo italiano incluso – nell’intreccio con la Storia globale con lo sguardo delle nuove generazioni all’epoca della presa del potere di Menghistu.
Del tutto assente è il mondo arabo e, soprattutto, la scrittura in lingua araba. Eppure, alla mente di chi scrive che certamente non è un esperto del settore, viene subito in mente il romanzo fantapolitico Frankenstein a Baghdad(Frānkshtāīn fī Baghdād, 2013) dell’iracheno Ahmed Saadawi.
E viene da chiedersi: possibile che nessuno dei 503 lettori e della redazione abbiano mai letto o sentito parlare di Yu Hua e Mo Yan, quest’ultimo premio Nobel nel 2012? E che dire della celebratissima saga fantascientifica di Liu Cixin Memoria del passato della Terra (Dìqiú wǎngshì), della quale il primo romanzo è divenuto una serie Netflix: Il problema dei tre corpi (Sān tǐ, 2006)?
Del resto, la fantascienza non deve essere il genere preferito dei nostri esperti se manca l’americano Ted Chiang e, soprattutto, alcuni degli ultimi e influentissimi – per stare all’aggettivo usato dal Times! – romanzi dell’inglese James G. Ballard: Super-Cannes (2000), Millenium People (2003) e Kingdom Come (Regno a venire, 2006).
Infine, grandi dubbi lascia l’assenza di uno qualunque dei romanzi del francese Michel Houellebecq usciti dopo il 2000, dei quali sicuramente Piattaforma. Nel centro del mondo (Plateforme, 2001) apriva il secolo regalandoci un affresco globale carico di inquietudini politiche ed emotive. Non c’è nemmeno un libro dell’eterno candidato al Nobel Murakami Haruki: autore giapponese di culture per almeno due generazioni ormai, in tutto il mondo. E soprattutto, dov’è l’esplosivo Limonov (2011) di Emmanuel Carrère?
Quale mondo?
Ciononostante la lista è preziosa è offre in ogni caso uno sguardo piuttosto ampio sul mondo in cui viviamo, per quanto il rischio è che si resti dentro frame e prospettive del tutto occidentocentriche. Tra i libri elencati vale la pena di ricordare Il simpatizzante (The Sympathizer, 2015) del vietnamita-americano Viet Thanh Nguyen e Il ritorno (The Return, 2016) del libico-americano Hisham Matar: entrambi affreschi di grande respiro, dolenti e accattivanti, di momenti storici e luoghi che hanno segnato la Storia degli ultimi sessant’anni.
Oltre alla presenza di temi eterni quali amore, morte e relazioni familiari, spulciando le 100 sinossi/micro recensioni proposte dal NYT, se ne ricava l’impressione di raffigurazioni letterarie che raccontano un mondo molteplice fatto di fittissimi intrecci storici, geografici ed emotivi e nel quale la lotta per la sopravvivenza prende il sopravvento in periferie suburbane degradate e luoghi dell’abbandono, così come in luoghi “remoti” del mondo (la Louisiana di Ward o la Napoli di Ferrante) ma anche in interni familiari apparentemente sereni in Nord America come in Europa. Qui si spalancano e si agitano vorticosamente in maniera non banale conflitti di genere, razza e classe, aumentati dai mille piani dei rapporti tra mondo dei colonizzatori e mondo dei colonizzati – spesso entrambi non “ex” –, mondo bianco e mondo non bianco. E del resto, l’andirivieni nel tempo è uno degli aspetti che accomunano di più i 100 libri: viene da pensare ai già citati Whitehead e Sebald, ma occorre ricordare Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo (Vremja second-hand, 2013) del premio Nobel Svjatlana Aleksievič.
“Speriamo che siate ispirati e colpiti come lo siamo noi dall’ampiezza di soggetti, voci, opinioni, esperienze e immaginazioni” rappresentate dalla classifica, scrivono ancora sul NYT. Di certo noi e tutte le lettrici e i lettori avranno molto da leggere e spulciare, molto da cui farsi incuriosire, tantissimo di cui dibattere e, soprattutto come sempre nel grande gioco della scrittura e della letteratura, tanto da scoprire.