L’attenzione alle geografie in questo nuovo libro di Raffaella D’Elia si rivolge alla realtà più prossima, dove la rete di tutte le linee quotidiane che determinano l’esistenza fonda soprattutto la mente, non soltanto i moti muscolari. La crescita dei cristalli è molto più simile, fermo restando la relatività temporale, alla danza di una ballerina, e per estensione al ritmo della veglia e del sonno di qualunque essere umano. Ma perché non pensare alle simmetrie minerali, vegetali e fors’anche a quelle relativistiche del mondo? L’autrice nutre empatia per l’alter ego Ida, anima visionaria e quintessenza di chi, capace di nutrirsi di cadenze armoniche, si propaga come un’onda negli ambienti circostanti, comprese camere da letto e camere da pranzo dai colori primari e atmosferici.
Come per le due opere precedenti, il catalogo comprende l’istruzione filosofica, la poesia pura, e un tratto maggiore di narrativa sintesi, quella che istintivamente ha sempre permeato ogni pagina scritta di D’Elia. L’avventura di Ida nel mondo persegue emozioni intime e collettive, arriva a conoscere le allucinazioni odierne mettendole dentro di sé e quasi onorandole in un sussulto di concreta pietà. In ogni capitolo, accanto al battito della danza, si avverte la forza di una concretezza “saggistica” messa in luce da sempre, così come nella partecipe prefazione di Emanuele Trevi: “la prosa saggistica è la vera lingua dell’anima”.
Che Raffaella D’Elia ancora una volta si presenti come scrittrice non conformista risulta dalla somma dei vari brani che compongono Ritmi di veglia, dove la realtà descritta mostra tutta la sua artificiosità: è carattere intenzionale di questa prosa rivelare le anomalie, rendendo onore anche alla poesia. Il sistema conoscitivo messo in atto spinge a guardarsi intorno, sembra rivolgersi all’infanzia e a quei piccoli corpi che occorre proteggere e non abbandonare. E più si avverte, arrivando al termine del libro, il carattere fermo e morbido, talvolta imprevisto, di un’autrice che non teme però le lame affilate: avendo bisogno dello spazio aperto, non s’illude di sfuggire al tempo e ai raggruppamenti antropici rovinosi. Seguire il volgere dei giorni e delle notti, sguardo sempre a fuoco, ha qualcosa di civile e contrastante la violenza, un profilo che starebbe bene in una piazza dove le voci s’incontrano e s’incrociano. Questo viene in mente, leggendo il libro di D’Elia: lontano da facili seduzioni ma ricco di passione documentaria, mostra la semplice vita che nelle geografie umane non è (non dovrebbe essere) soltanto sopravvivenza. La ballerina Ida ha scoperto un mondo dopo che Raffaella D’Elia un giorno riuscì a mostrarci la mappa delle stelle: è quanto accadeva – frutto riflessivo del linguaggio – nelle pagine del precedente libro Come le stelle fisse.