Davanti all’immensità di qualsiasi impresa che si proponga di decifrare il presente cinese, partire da alcune parole chiave sembra un inizio percorribile. Dopo un’altra importante uscita di quest’anno, La Cina di oggi in otto parole di Beatrice Gallelli (Il Mulino), modellata sull’illustre precedente di Yu Hua, La Cina in dieci parole, anche La Cina nuova di Simone Pieranni si sviluppa su un insieme di parole chiave. Ma lo fa in modo originale, costruendo cioè sette dicotomie, un po’ gli Yin e gli Yang della società cinese di oggi – ma anche di domani, perché Pieranni, già autore dell’imprescindibile Red Mirror (Laterza, 2020), è molto interessato alle modalità in cui il futuro già permea il presente più stretto. Nella fattispecie, queste dicotomie sono Memoria/Futuro, Socialismo/Mercato, Meritocrazia/Corruzione, Metropoli/Campagna, Pubblico/Privato, Airpocalypse/Civiltà ecologica e Lavoro/Automazione, più un capitolo conclusivo su Ordine e caos.
Partendo dal senso di smarrimento provato di fronte ai cambiamenti epocali e repentini della Cina negli ultimi decenni (in cui chiunque vi abbia avuto a che fare può identificarsi benissimo), Pieranni propone un viaggio attraverso poli concettuali all’apparenza inconciliabili per provare a fare i conti con una realtà complessa, prendendone le contraddizioni come chiave di lettura. A lettrici e lettori risulterà subito ben chiaro che la Cina non è un blocco stabile e monolitico, ma è sfumata dalle sfaccettature della sua storia, dalle polarizzazioni politiche e sociali del presente, e dalle visioni di un futuro che sembra sempre più la materializzazione di un mondo cyber punk. La trattazione analizza i freddi dati ma riporta anche le voci delle persone, dipanandosi tra interviste e colloqui, ricerche sul campo e letture accademiche e non, prendendo in considerazione non solo le macrostrategie dello Stato ma anche il loro impatto sul vivere e sul sentire comune.
Se alcuni capitoli del libro si concentrano su aspetti più generali, senz’altro utili per un pubblico digiuno di questioni cinesi, altri contengono informazioni e analisi aggiornate ai tempi più recenti, focalizzandosi anche su elementi come l’impronta autoritaria di Xi Jinping, lo sviluppo del mercato interno e gli avanzamenti tecnologici. In particolare, Pieranni torna su suoi cavalli di battaglia come la sorveglianza, i big data e l’intelligenza artificiale, dimostrando come siano ormai imprescindibili non solo per capire la Cina post-fabbrica del mondo, ma anche per inquadrare quali nuove dinamiche stanno alla base di equilibri e squilibri di mercato, processi decisionali e proteste interne. Spunti interessanti giungono altresì dai passaggi sulle spinte al ritorno in campagna, dopo quarant’anni di urbanizzazione selvaggia, e sui funzionamenti del “socialismo di mercato”, dove la metafora della fisarmonica, che si stringe o si allarga a seconda del momento, pare calzante alla luce della vicenda Evergrande e delle sanzioni di Stato ai magnati dei monopoli.
Insomma, La Cina nuova di Pieranni offre un grande punto della situazione, supportato anche da indagini storiche da cui emerge anche il lato più sinologico dell’autore. E ci invita a mettere in discussione il modo in cui leggiamo la Cina. Resta da chiedersi se l’apparente incomprensibilità con cui capita spesso di imbattersi, quando si è alle prese con il grande Altro asiatico, sia dovuta a un problema di categorie culturali (nostre) inadatte a quel contesto, o piuttosto ci imponga di cambiare le lenti con cui osserviamo non soltanto la Cina e l’Asia, ma anche il mondo, tanto più in questa fase storica di grandi fermenti.