Giornalista, esperto di politica cinese, autore di vari podcast sulla Cina, dove ha vissuto per alcuni anni, Simone Pieranni – ex responsabile esteri de “Il Manifesto”, fondatore dell’agenzia editoriale China Files – ci ha abituato a cogliere nell’intreccio tra tecnologia e società la chiave del futuro che dall’Asia si proietta oggi verso Occidente e sulla scena geopolitica mondiale. Tecnocina si presenta come un’incursione nella storia recente della Repubblica Popolare, alle radici della Grande Accelerazione avviata da Deng Xiaoping, il leader ultra riformista indicato da Mao come suo successore, a partire dai primi anni ’80. Ciò che emerge dalle prime pagine del libro, e che si chiarisce nello sviluppo dei decenni successivi, non è però tanto la discontinuità del dopo Mao rispetto al radicalismo dogmatico, culminato nella Rivoluzione Culturale, quanto piuttosto la “lunga marcia” di un tecnocratico “destino manifesto” – con, come si dirà poi, “caratteristiche cinesi” – che, dopo il secolo delle umiliazioni, emergerebbe in fondo già a partire dal programma del 1949, con le parole d’ordine della modernizzazione socialista.
Obiettivi di emancipazione e di crescita accelerata che nel periodo maoista devono fare i conti, almeno inizialmente, con il supporto e il patronato tecnico-scientifico dell’alleato sovietico, indispensabile quanto ingombrante e mal tollerato negli ambienti cinesi, anche con buone ragioni, come dimostra il caso del biologo Lysenko, le cui tesi, imposte direttamente dal Cremlino, bloccano per anni lo sviluppo della genetica nel “campo socialista”. Malgrado il trauma del disastroso Grande Balzo in avanti che, alla fine degli anni ’50, rivela il divario ancora incolmabile tra ambizioni e mezzi della rinascita cinese, allora proiettata verso l’industrializzazione di stampo stalinista, la Cina di Mao – che pare amasse conversare a cena con fisici e scienziati – riesce comunque a entrare nel club atomico e a mettere in orbita il primo satellite. Merito anche della prima ondata di “cervelli” che dagli Usa cominciano a fare ritorno in madrepatria, un flusso destinato via via ad allargarsi con il clima più favorevole e i clamorosi successi del dopo Mao. Il Partito in questa fase protegge la comunità scientifica che opera per ora sottotraccia, non ancora pienamente integrata al livello strategico e a un progetto tecno-sociale di radicale innovazione che sarà elaborato solo venti anni più tardi, nel Partito Comunista dell’era Deng.
Nel 1983 la Terza Ondata, il best seller di Alvin Toffler che annuncia l’imminente affermazione di una prossima rivoluzionaria civiltà postindustriale, è infatti il libro più letto e discusso tra le élite del PCC. È forse la premessa culturale che condurrà alla Grande Accelerazione cinese dei decenni successivi, e che vedrà, almeno fino a all’avvento di Xi, un numero sempre crescente di ingegneri, di scienziati e di tecnocrati scalare i vertici politici e insediarsi negli organi direttivi del Partito. Uno slancio verso l’innovazione e il “socialismo di mercato” largamente pianificato, ma anche pragmaticamente ricalibrato a ogni piano o documento programmatico. Una rivoluzione che ha trovato strada facendo i suoi eroi e le sue figure chiave pressoché in ogni ambito scientifico, senza però mai discostarsi o mettere in discussione – anche nei momenti di massimo liberalismo economico – gli obiettivi e il ruolo del Partito. Il consolidamento della sua guida politica permetterà, anzi, di superare (e cancellare dalla memoria collettiva) con relativa facilità anche l’impasse iniziale di Piazza Tiananmen ma, soprattutto, di sviluppare, dopo l’avvento di Internet, un’idea di società del controllo che il mondo non aveva mai conosciuto prima.
Basato sulla generazione pervasiva e l’elaborazione parallela dei Big Data a tutti i livelli della vita collettiva, è descrivibile come un modello di società integrata digitalmente, di cui il famoso “Great Firewall” – la “grande muraglia” cinese della censura online – rappresenta soltanto il primo tassello e oggi la classica punta dell’iceberg securitario che cominciamo a riconoscere. Niente di strano se pensiamo che l’Occidente in fondo ha sempre tardato a decriptare i segnali di cambiamento che provenivano dalla Cina, continuando in genere ad interpretarli secondo i propri pregiudizi culturali. Così ha riconosciuto con anni di ritardo, dietro alla “fabbrica del mondo” degli anni ’90, l’emergere di una classe media e dello sconfinato mercato B2C rivelatosi poi negli anni ’00. E, nuovamente, dietro di esso, la potenza digitale emergente che si presenta negli anni ‘10 per rivendicare il suo posto nel mondo.
Pieranni analizza le figure degli scienziati e dei politici protagonisti del miracolo cinese, attraverso tutte le sue fasi, dall’atomica alla guerra dei semiconduttori con gli Usa. In particolare, viene sottolineato il ruolo storico, e in parte relativamente oscuro, di Jiang Zemin (Presidente della Repubblica Popolare dal 1993 al 2003) nell’organizzare la ricerca e nell’impulso dato alla digitalizzazione del Paese. L’ex sindaco di Shanghai – un outsider e per i suoi tempi, forse anche un “nerd”, insediato a sorpresa dal vecchio Deng – guiderà non di meno con pugno di ferro la campagna contro la setta spirituale del Falun Gong. Jiang ereditò infatti una Cina molto frammentata e iniqua in seguito alle riforme economiche riuscendo a spianare, per molti aspetti, la strada ai successi che il mondo attribuirà invece a Hu Jintao nel decennio successivo.
Oggi, occhi puntati sulla stretta nazionalista e le ambizioni geopolitiche di Xi Jinping, forse l’uomo più potente dai tempi del Grande Timoniere, siamo sicuramente in un’altra epoca e forse, per mettersi in pari, bisognerebbe già ragionare del prossimo decennio e non di questo. Perché, come ci ricorda la quarta di copertina, “la Cina non guarda al domani, ma molto più avanti”. Ben documentato e fluente, Tecnocina è un ottimo strumento per orientarsi nella storia recente della potenza cinese che determinerà anche il nostro futuro.