“Godard ha rotto il cazzo con la politica!”. A pronunciare questa frase laconica e lapidaria è il professor Michel Foucault nel bel mezzo di un viaggio in California, ospite del piccolo campus di Claremont, su invito del giovane e sconosciuto professore di filosofia Simeon Wade, del suo compagno di allora e di un gruppo di studenti che lo attendeva per ascoltarlo come un vero e proprio guru.
Questo libro è una biografia umana e intellettuale, un’autobiografia e anche la biografia di un’epoca – da molti ritenuta irripetibile – che sin dal titolo originale, che suonerebbe più o meno come Foucault in California. Una storia vera – Nel quale il grande filosofo francese si fa di acido nella Valle della Morte, allude a una materia incandescente o sarebbe meglio dire scottante con una precisa collocazione geografica nei luoghi delle pratiche culturali lisergiche giovanili degli anni Sessanta e Settanta e delle cui origini si può dettagliatamente leggere su PulpMagazine
E vi trovano posto tantissime uscite di Foucault – sempre virgolettate – che ci rivelano alcuni suoi gusti letterari – la grande passione per il romanzo Sotto il Vulcano di Malcolm Lowry o per William Faulkner –, l’interesse per il pensiero di Antonio Gramsci e la necessità di rivisitare il concetto di “lavoro” in Karl Marx, così come i soliti strali contro il “profeta” Jean-Paul Sartre e, d’altro canto, l’importanza del pensiero pragmatico di Maurice Merleau-Ponty che avrebbe salvato la sua generazione dallo stalinismo.
Ne emerge un ritratto anche lirico, dai colori saturi proprio come quelli sulla bella copertina rigida di questo volume ben curato in ogni suo parte. Il libro restituisce un’immagine volutamente pop dell’altezzoso Foucault, non vagliata da nessuna delle due biografie più discusse degli ultimi anni – quella di Didier Eribon e quella di Paul Veyne recentemente ristampa in italiano da Ombre corte –, che si soffermano sul profilo intellettuale e sulla vicenda più strettamente teorico-filosofica di Foucault. Per quanto, va detto, Eribon indugiasse sui grandi cambiamenti di natura personale che divenivano sempre più importanti nella vita del filosofo, soprattutto, non a caso, l’assidua frequentazione dei campus americani.
Senza fornire qui inutili spoiler sulla vicenda un po’ morbosa dell’assunzione di LSD e che, immaginiamo, il lettore voglia scoprire autonomamente decidendo poi sul grado di verosimiglianza/veridicità del trip, resta di assoluto interesse il modo nel quale Foucault (il pensatore che insegnava Storia dei sistemi di pensiero al Collège de France e aveva storicizzato e scardinato le formazioni discorsive che per secoli avevano disciplinato, internato e normalizzato soggettività faticosamente e instabilmente definite “anormali”), nella Valle della Morte californiana come nella veranda di una casa di studenti, si muovesse perfettamente a suo agio a discettare di Storia, filosofi e filosofia così come a intraprendere trip da LSD.
È di particolare interesse storico-filosofico il capitolo intitolato “La Sala dei Fondatori” nel quale Wade riporta le trascrizioni di alcune registrazioni effettuate durante una conversazione tra Foucault e gli studenti del campus di Wade che lo ospitava. Si tratta di pagine che concentrano fittamente tutte le idee maturate dal filosofo francese nel decennio precedente sul rapporto tra produzione del potere, produzione del discorso e dei processi di soggettivazione. In un passaggio di straordinaria sintesi e potenza, Foucault condensa le idee intorno alla società del controllo a partire dall’invenzione del panottico di Jeremy Bentham, maturate in quello stesso 1975 in cui sarebbe stato pubblicato uno dei suoi capolavori, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione: “Sapete che Jeremy Bentham ha immaginato la prigione perfetta – cioè il tipo di edificio che avrebbe potuto essere sia un ospedale che una prigione, un manicomio, una scuola o una fabbrica – ecco, questa ha una torre centrale con finestre su tutti i lati. Poi uno spazio vuoto e quindi un altro edificio pieno di celle tutt’attorno […]. In ognuna di queste celle ci può essere un operaio, un pazzo, uno studente o un detenuto. Serve solo un uomo posizionato nella torre centrale per osservare esattamente quel che stanno facendo tutti nelle loro piccole celle. In Bentham si trova il vero ideale per tutti coloro che lavorano nelle istituzioni.”
In quello stesso contesto, Foucault esprime il desiderio di scrivere “libri-bomba”, cioè libri “utili esattamente nel momento in cui sono scritti esattamente nel momento in cui sono scritti o letti dalla gente”. Un desiderio in cui si rispecchia la carriera stessa di Foucault che in vita ha pubblicato (solo) una decina di monografie tra il 1954 e il 1984 e il cui tentativo è stato costantemente quello di intervenire sul presente con il bisturi della scrittura per rispondere ai dibattiti filosofici e alle grandi domande del presente, sollevate di continuo dai tanti movimenti sociali degli anni Sessanta e Settanta, ma senza mai perdere di vista il bisogno-dovere di storicizzare. Perché, come scriveva magistralmente proprio nelle prime pagine di Sorvegliare e punire, è necessario “fare la storia del presente” per comprendere fino in fondo come istituzioni e discorsi incidano sui corpi e sui rapporti tra quei corpi che esse racchiudono e attraversano.