In questo nuovo romanzo Silvia Dai Pra’ parte dalla descrizione di una mite e lieta famiglia di provincia, in cui ogni personaggio ha caratteristiche ben definite che lo collocano in maniera precisa all’interno di quell’affresco a metà tra l’ironico e il rassicurante che ne fa Felix, – l’outsider, il “figlio sbagliato” –, ovvero la voce narrante. Nelle prime pagine Felix ci presenta il padre, Mauro Giovannetti, che è il più popolare professore di filosofia nel liceo della loro cittadina, osannato dagli studenti e corteggiato da docenti e genitori; la madre Angela, che insegna arte alle medie e si dedica alla famiglia; e infine Perla, la geniale primogenita che riesce bene in tutto ciò che fa, Perla-la-perla destinata, dopo la raffica di successi collezionati tra attività didattiche ed extrascolastiche, a frequentare la Normale di Pisa e a rendere gloria imperitura alla famiglia Giovannetti. Tuttavia (Felix lo lascia trapelare quasi subito), qualcosa andrà storto, trascinando quella che sembrava, alla Tolstoj – la tipica famiglia felice uguale a tutte le altre – in un’infelicità tutta sua, incomprensibile all’esterno, un’infelicità tanto profonda da sembrare quasi irreale, anche quando il peggio si sta compiendo, anche quando si è già compiuto.
Una sera d’autunno Perla porta a casa James Tocci, il nuovo fidanzato belloccio, più grande di lei, che non studia e non lavora, ma si dice deciso a farsi finanziare da Arrigo Sacchi un’impresa che lo farà diventare ricco. Mauro e Angela sorridono e, da genitori comprensivi e aperti, lasciano che la fiamma di quello che appare come un amore adolescenziale svapori da sola. Ma Perla inizia a cambiare: vuole lasciare la scuola, fa scenate di gelosia, smette di mangiare, minaccia di fuggire, chiede l’approvazione dei genitori per sposarsi a diciassette anni.
Felix, crudelmente soprannominato “Piumino” per il suo aspetto da bambinone innocuo e morbido, Felix l’eterno secondo, che non riesce ad attirare l’attenzione dei genitori nemmeno quando, insieme a una compagna, fa irruzione nel giardino di una professoressa della scuola vandalizzandole la macchina, Felix osserva, e racconta dal suo punto di vista – prima di ragazzino, poi di giovane uomo e infine di adulto – quella che potrebbe essere riassunta come la storia di un amore tossico e pericoloso, ma che racchiude in sé molteplici altre storie che sanno di solitudine, abbandono, incomprensione, rapporti di forza, violenza fisica e violenza psicologica.
Silvia Dai Pra’, attraverso la parabola discendente dei Giovannetti, ci offre un’analisi lucida e profonda sulla complessità dei rapporti umani, sulla difficoltà di cogliere la portata di quanto accade intorno a noi, sul senso di colpa, sulla paura e su quella rete intricata di fili d’amore e d’odio, di orgoglio, vanto e risentimento che è la famiglia.
In pagine dallo stile asciutto e coinvolgente, che regalano uno spaccato sull’Italia degli ultimi venticinque anni attraverso personaggi complessi e sfaccettati, l’autrice crea un romanzo capace di scavare nelle pieghe del non–detto, insinuando dubbi e distruggendo certezze che sembravano granitiche. Il lettore resta sprovvisto di ogni appiglio, in balìa di una storia il cui finale non vorrebbe leggere, temendo per sé – causa capriccio, destino o malinteso – lo stesso triste domani. Silva dai Pra’, inoltre, è bravissima a trasferire nel lettore un senso di appartenenza, pur rimanendo sempre imparziale nella caratterizzazione di tutti i suoi personaggi.