Una scrittrice raccoglie le storie di personaggi più o meno famosi per scriverne la biografia. Sembra un lavoro che potrebbe confinare con la noia, con la messa in campo di facili espedienti letterari. Sembra un impegno che ha l’obiettivo più di compiacere il committente – che paga – che di raccontarne la storia. Sempre, in questa attività il confine tra verità e cronaca dei fatti si mescola e si confonde con la fantasia e addirittura con la menzogna. Questo il punto di partenza del romanzo di Silvia Cossu. C’è un momento, però, in cui la routine del lavoro della biografa viene a spezzarsi. Accade quando la scrittrice protagonista entra in contatto con un committente molto particolare: un uomo famoso, stimatissimo per il suo lavoro di psichiatra che ha sovvertito con successo alcune leggi della disciplina che pratica. Un ricco professionista che apparentemente non ha alcun bisogno di trovare facili gratificazioni alla sua vanità, attraverso una narrazione fatta di elogi e lodi. Quest’uomo, fin dalle prime pagine del libro, sembra impostare il rapporto con la sua biografa in modo chiaro e inconfutabile: egli vuole solo che venga cercata la verità. Sembra una sfida facile. Si rivelerà tutt’altro.
All’inizio, il rapporto tra l’uomo maturo e la donna sembra doversi misurare con i meccanismi e le modalità tipiche della relazione psicoanalitica: presa di distanza, offerta e richiesta di fiducia, avvicinamento e conquista del consenso. Con ciò inizia una sorta di viaggio iniziatico all’interno della storia di un uomo che, fin dalla giovane età, mostra i tratti di una personalità molto forte e forse addirittura manipolatoria. La scrittrice si pone nei confronti di queste informazioni come se sempre la realtà fosse neutra, onesta e trasparente. Ma non è così. Scoprirà che non è così. Con impegno e serietà lei osserva, scrive, si fa coinvolgere, si interroga.
Mosco, questo è il nome dello psichiatra, mostra di essere ossessionato dal bisogno di controllare gli altri. E nei confronti della realtà ha una posizione talmente ambigua che lo porta a teorizzare che nel gioco del tiro al bersaglio, per esempio, se la freccia non dovesse raggiungere il centro, allora è il centro che dovrà spostarsi per collocarsi li proprio dove la freccia è andata a conficcarsi. Le esperienze che la scrittrice protagonista viene portata a vivere sono conturbanti e spesso incomprensibili: un malconcio mendicante a cui deve consegnare del denaro, una donna enormemente grassa, detenuta per aver ucciso la madre (e con la quale solo Mosco sembra avere la capacità di interagire). Una turista americana. Il teatro in strada negli anni Settanta. La nascita dell’antipsichiatria. Un enorme afflusso di denaro nelle casse dello studio dello psichiatra. L’università. La morte di Marta Russo. La capacità di indurre un sogno, lo stesso sogno per tutti, in un gruppo di persone. La produzione di film porno. L’ambiguità di diversi personaggi femminili che vorticano intorno allo psichiatra.
Inoltre, nel tempo del racconto, quella che era iniziata come una relazione intellettuale, si trova sempre più a misurarsi con la dimensione corporea, a volte con un’impronta dichiaratamente erotica. La funzione principale della scrittura biografica viene così stravolta. La stessa scrittrice che, in linea generale, è consapevole di sfruttare la vanità altrui e sa anche che il risultato è un “conforto duraturo” per il committente, si trova completamente spaesata e invischiata in una dimensione di cui perde i contorni. Si sgretola la propria identità, vengono a mancare – vulnerabili e indifesi – alcune certezze una volta indiscusse. L’ambiguità di Mosco sembra prendere il sopravvento. Ma forse si tratta dell’ambiguità della stessa vita reale. Solo la ricerca di un assegno, forse smarrito o forse rubato, rappresenta il punto di aggancio a una realtà che sembra affermarsi e negarsi continuamente. Che cosa è la normalità e dove si trova la follia? Perché è così soddisfacente essere riconosciuti? Che fine ha fatto l’impostore?