Silvia Cassioli / Di due uno più bello dell’altro

Silvia Cassioli, Wilma, il Saggiatore, pp. 528, euro 24,00 stampa, euro 11,99 epub

«¡Es ella!» scrive Gabriel Garcia Marquez. Siamo nel 1953 e le parole di un allora giovane e sconosciuto corrispondente per un giornale colombiano si riferiscono al riconoscimento del corpo di Wilma Montesi, una ragazza di Roma di 21 anni, figlia di un falegname, ritrovata riversa sulla spiaggia di Torvajanica qualche giorno dopo la sua scomparsa da casa. Un incidente o un omicidio?

Il “caso Montesi”, con i coinvolgimenti del musicista Piero Piccioni – figlio di un alto dirigente della Democrazia Cristiana – e di altri appartenenti a quello che con un neologismo veniva definito “jet set”, sconvolse l’Italia per mesi e mesi e divenne celebre anche all’estero: non fu solo Marquez a scriverne e a seguirne la cronaca ma – ad esempio – anche lo scrittore tedesco Hans Magnus Enzensberger. Che bello occuparsi di omicidi e malaffare, ma anche di “balletti rosa” (che di lì a poco si sarebbero tinti di “verde”!), attrici, donne belle e gaglioffi altolocati: poter finalmente dimenticare l’austero e fin troppo tetro dopoguerra per andare verso la dolce vita romana.

Dopo qualche anno i protagonisti dello scandalo verranno tutti assolti e gli accusatori condannati, ma le dinamiche della morte di Wilma rimarranno per sempre non chiarite. L’eco delle presunte vicende “torbide” a base di balletti, serate licenziose e segreti non detti continua ad aleggiare intorno alla morte della ragazza anche molti anni dopo. Il fatto è che il “caso Montesi” inaugurò una tradizione tipica italiana, con uno stile e un modo di fare battaglia politica usando lo scandalo, che solo in un paese bigotto come il nostro può trovare terreno fervido. Basti pensare all’ultimo scandaletto, sgonfiatosi come un sufflè mal cotto con la spedizione dell’ex-ministro Sangiuliano in ritiro spirituale per salvare il matrimonio! Povera Italia che si deve barcamenare fra lo scandalo morale e il pensiero semplice del complotto e del noncelodicono!

Ma non divaghiamo. Wilma di Silvia Cassioli è un romanzo lontanissimo dai libri a tesi dove si vuole dimostrare una “vera verità” e men che meno è un indignato trattato sulle virtù e i vizi italici. L’autrice fa un’operazione creativa assolutamente originale che funziona un po’ come l’uovo di Colombo: semplicissima e geniale. Usando un procedimento che si potrebbe definire un cut up al contrario attraverso le testimonianze rese, gli interrogatori, gli atti del processo e specialmente gli articoli e le inchieste giornalistiche, Silvia Cassioli ricostruisce il contesto, l’Italia dell’epoca e i personaggi legati alla vicenda. L’autrice riserva a sé stessa una leggerissima cucitura dei frammenti, con punzecchiature date dal sottolineare l’umorismo involontario che emerge dall’accumulo di versioni incoerenti, dall’incompetenza o dall’ossessione dei giornali nel cercare lo scoop. La figura di Wilma, deformata fra la ragazza pia e perbene e la “attricetta” in cerca di fortuna fino a farne una figura grottesca e funzionale solo a una narrazione mediatica tesa alla costruzione di una realtà fra la pruderie e il moralismo, nel romanzo di Cassioli emerge invece come persona degna di rispetto e di empatica considerazione. Una figura sicuramente in chiaroscuro, formata dalle voci di chi l’ha conosciuta, dagli articoli scandalistici e dalle investigazioni, che ne offre al lettore un’immagine sfaccettata e frammentaria, ma tanto più vera e malinconica.

Finito di leggere Wilma viene assolutamente voglia di leggere o rileggere Il capro, romanzo di esordio di Silvia Cassioli uscito nel 2022 anche per il Saggiatore (pp. 400, euro 19,00). Il capro è un affresco policromo – sempre a più voci – di un altro caso famosissimo che ha occupato l’Italia fra gli anni ’70 e ’80 e che ancora non è concluso. È infatti di pochi giorni fa la notizia della riesumazione per ulteriori indagini del corpo di Francesco Vinci, uno dei protagonisti della galassia horror di processi, delitti a sfondo sessuale e serial killer attribuita alla figura quasi mitica che va sotto il nome de “Il mostro di Firenze”. Personalmente ancora oggi tutte le volte che valichiamo l’Appennino e ci dirigiamo verso Firenze o Roma non manchiamo di commentare e ricordare con un brivido dove sono successi i fatti dei “compagni di merende” del mostro di Firenze.

Il fatto che l’autrice sia senese è certo fondamentale ma si rimane conquistati dall’uso della lingua toscana di personaggi popolari della seconda metà dell’altro secolo, della conoscenza geografica e topografica dei luoghi e specialmente di una cultura terribilmente misogina in cui le donne erano considerate alla stregua di oggetti scambiabili e strumenti di lavoro di scarso valore, che diventava zero nel momento in cui entrava in campo il sesso.  Il romanzo indaga il male, la responsabilità individuale e per l’appunto la figura del capro espiatorio che serve ad esorcizzare le paure più profonde. Non è un semplice resoconto dei fatti, ma l’indagine sulla psicosi collettiva che ha segnato quel periodo.

Wilma e Il capro sembrano raccogliere – ma senza nessuna noiosa digressione saggistica – la lezione foucaultiana, sulla rappresentazione della verità e della realtà. Cassioli infatti, come detto, non ci presenta una sua ennesima verità sulle vicende che vuol essere definitiva, ma ci mostra come la costruzione della verità e quindi della realtà. La verità, nei suoi testi, emerge come qualcosa di frammentario e manipolabile: è legata ai contesti di potere e vincolata a interpretazioni soggettive e collettive. I due romanzi mostrano così i lati oscuri e l’ambiguità morale dove la verità è sempre sfuggente e complessa e viene mostrata come costruzione, non come dato assoluto, e nella sua interdipendenza con il potere e i discorsi sociali.

Ma non si pensi che i due romanzi siano la semplice e stanca ripetizione l’uno dell’altro, quasi che trovato il marchingegno narrativo lo si possa replicare impunemente. L’unica cosa in comune è il fatto che ambedue le vicende hanno appassionato l’Italia e alla fine la cosa più importante è che entrambi i libri, come i migliori gialli – pur non essendo dei gialli per le ragioni dette – creano una vera e propria dipendenza narrativa. Ti immergi nella lettura e niente ti distoglie fino a quando arrivi alla fine.