Sempre nuove etichette si affacciano a definire e spesso a confondere commistioni di sottogeneri e varianti della narrativa fantastica e dei suoi generi maggiori – horror, fantasy, science-fiction. Si parla sempre più spesso di new weird, di slipstream, di bizarro fiction, di avant-pop, ecc. e la questione tende a farsi intricata e contraddittoria in modo quasi analogo a quanto è avvenuto e avviene nel campo parallelo del poliziesco con le varie confusioni e sovrapposizioni fra mystery, hard-boiled, noir, polar, e così via. Risulta quindi assai utile uno studio che sciolga almeno alcuni nodi del groviglio e contribuisca a districare una matassa quanto mai ingarbugliata.
Il libro di Francesco Corigliano, La letteratura weird: narrare l’impensabile, sviluppo di una tesi di dottorato, svolge proprio questa utile funzione cercando di definire nel campo del fantastico e della narrativa del soprannaturale quali siano le specificità che definiscono il weird. Un termine che si diffonde nell’uso a partire da un settore della narrativa pulp statunitense degli anni ’20 e ’30 – la famosa rivista Weird Tales, nata nel 1923, sulle cui pagine, dedicate sostanzialmente all’horror e al dark fantasy, si formano scrittori in seguito rinomati come H.P. Lovecraft, Robert E. Howard o Clark Ashton Smith, ecc.– ma che da allora viene utilizzato in senso sempre più esteso e peculiare, travalicando l’ambito della narrativa popolare e il contesto americano. Come precisa Corigliano già nell’introduzione al volume, un termine che è “solo parzialmente traducibile in italiano come ‘strano’ “ e che “si fonda su un senso di ambiguità e indeterminatezza”: un “bizzarro che si definisce per ciò che non è”. Una definizione sintomaticamente analoga, nel campo del fantastico, a quella che in altro contesto anch’io ho utilizzato a proposito del noir, distinto in modo apofatico dal poliziesco e dal mystery: due modi, ognuno nel suo campo, specifici e tipicizzanti che non vanno semplicisticamente disciolti nei rispettivi calderoni del fantastico, l’uno o del giallo, l’altro.
L’autore parte dalle teorie classiche sulla letteratura fantastica di Tzvetan Todorov e Roger Caillois, ma resta più aderente all’interpretazione offerta da Remo Ceserani: “un ‘modo’ basato sull’irruzione dell’impossibile in un dato ‘paradigma di realtà’”. Seguendo poi la suddivisione dello stesso Lovecraft nel suo saggio Supernatural Horror in Literature, Corigliano sottolinea l’estraneità del weird ai cliché della narrativa dell’orrore e il fatto che questa non afferisca necessariamente alle ascendenze del romanzo gotico, come vorrebbe l’esegesi, classica ma ormai datata, di David Punter: “considerare tutta la letteratura del terrore come gotica non è dissimile, metodologicamente, dal considerare tutta la letteratura del soprannaturale come fantastica”. Dalle teorie sul weird di T. S. Joshi viene invece accolta la distinzione tra l’unheimlich freudiano, l’orrore e il terrore, e la necessità del weird di contenere un “inherently philosophical mode”, un “modo metafisico” che lo caratterizzi, ma rifiutata l’accezione di umbrella term che Joshi sembra voler dare al concetto di weird. Più determinante è però la nozione stabilita da Mark Fisher nel suo saggio The Weird and the Eerie: il weird “si basa sulla commistione che rende indecifrabile”, e l’eerie “sulla presenza/assenza di elementi che dovrebbero o non dovrebbero esserci”. La ghost story tipica di M.R. James è il modello più esemplare di entrambe queste caratteristiche: remota dai suoi topoi ottocenteschi, con fantasmi tangibili, amorali, imprecisabili e paesaggi che non sono “sinistre magioni o castelli diroccati, ma spazi vuoti, desolati, in cui qualcosa sembra incombere invisibile”. Analogamente si riprende da Thomas Ligotti il concetto di ineluttabilità e insondabilità, cioè “l’impossibilità di comprendere a fondo il mistero che viene proposto” e il senso di “irrealtà macabra”.
Secondo Corigliano la “sfiducia nelle capacità di comprensione e il senso di perdita di un mondo che sia intero e razionalizzabile avvicinano lo spirito della weird fiction ad alcuni aspetti del modernismo letterario. Lo scollamento tra Io e coscienza e tra individuo e mondo sono tratti che accomunano weird e modernismo”. Il weird non è però soltanto letteratura fantastica modernista, la precisa definizione formulata da Corigliano è la seguente: “il weird è un modo letterario il cui tema centrale è l’inconoscibilità del soprannaturale, basato sulla tendenza al verosimile e sull’uso di allusioni e omissioni all’interno della narrazione. […] il weird deriva dagli statuti del fantastico nella letteratura del soprannaturale del XIX secolo, e dalla loro relazione con il modernismo”.
A riprova della sua tesi, l’autore fornisce nella seconda parte del libro una dettagliata analisi dell’opera di tre autori, quasi contemporanei, fondamentali per l’affermazione di questa visione letteraria: Howard Phillips Lovecraft (1890-1937), Stefan Grabinski (1887-1936), Jean Ray (1887-1964). Il fatto di considerare in parallelo un autore statunitense, uno polacco ed uno belga, pone il problema della rilevanza internazionale del modo weird e la sua non riducibilità ai modelli anglofoni. Per quanto non manchino nel testo riferimenti anche ad autori italiani (si citano Tarchetti, Capuana, Buzzati, Landolfi), sarebbe stato interessante approfondire maggiormente la presenza del weird nella nostra letteratura nazionale. Il libro resta comunque una lettura fondamentale per chiunque voglia approfondire e contestualizzare adeguatamente queste tematiche troppo spesso eluse o trascurate. Valore del testo a parte, dispiace non poco la sovrabbondanza inquietante – questa sì davvero weird! – di refusi tipografici sparsi quasi in ogni pagina, défaillance sgradevole che potrebbe indurre l’accorato consiglio all’editore Mimesis di migliorare drasticamente il suo editing.