Shirley a fumetti

Shirley Jackson, Miles Hyman, La lotteria, Adelphi, pp.143, euro 19,00

Potrà ai più apparire insolita la presenza di una graphic novel, cioè in termini banali una storia a fumetti, nel catalogo Adelphi. In realtà la letteratura disegnata, come diceva Hugo Pratt, non dovrebbe ormai avere più alcun complesso d’inferiorità nei confronti delle forme narrative maggioritarie, né essere più oggetto di formali ostracismi al loro contesto, se opere come quelle di Gipi o Zerocalcare, solo per limitarci al nostro paese, hanno meritato riconoscimenti letterari paludati in importanti premi letterari fino ad allora riservati ai romanzi, e se autori come Will Eisner, Art Spiegelmann o Jean Giraud – solo per fare qualche nome – godono giustamente di un diffuso riconoscimento internazionale anche in ambito “colto”.

Il caso del volume in questione è comunque piuttosto particolare. La trasposizione per immagini del più famoso racconto di Shirley Jackson (1916-1965) – una fra le più grandi narratrici statunitensi novecentesche tendenzialmente anche se non unilateralmente orientata verso quella tradizione gotica, “non della Germania ma dell’anima”, il cui patriarca spirituale è Edgar Allan Poe – è firmata Miles Hyman, e se consideriamo che il marito della scrittrice, importante critico letterario e docente universitario, si chiamava Stanley Edgar Hyman, dovremmo già aver intuito qualcosa. Miles infatti, non è altro che uno dei nipoti di Shirley, il figlio di Laurence Jackson Hyman, cioè Laurie, il maggiore dei quattro bambini – pestifera progenie della geniale ma sgangherata coppia – cari al ricordo di chi abbia letto le adorabili cronache familiari umoristiche Life Among the Savages e Raising Demons, l’altra faccia solare della gotica Shirley, purtroppo non ancora tradotte nella nostra lingua (confidiamo in Adelphi).

Miles è diventato un importante illustratore e artista visuale, risiede a Parigi e lavora fra la Francia e gli Usa, collaborando con le sue opere grafiche, a riviste come Le Monde, Libération, The New Yorker o The New York Times. Nell’avvincente prefazione, molto jacksoniana, in cui la memoria della nonna viene evocata attraverso un carillon vittoriano, cimelio di famiglia degno di una seduta spiritica a Hill House, Miles ricorda certi momenti familiari privati tramandati in casa Jackson-Hyman: le partite a poker del padre Stanley con J.D. Salinger e Bernard Malamud o la festa in cui Dylan Thomas ubriaco, in un accesso di satiriasi, rincorse Shirley per tutta la casa fino a che Stanley non lo sbattè fuori, e confida infine la totale incapacità, durata ben trent’anni, per uno specialista come lui nell’adattamento grafico di classici letterari, ad affrontare La lotteria, il racconto più famoso della nonna, altro cimelio di famiglia come il carillon vittoriano, impasse superata solo recentemente. Il risultato è il libro che Adelphi ha pubblicato nel nostro paese.

L’adattamento è molto fedele al testo ma il diverso linguaggio conferisce alla storia un’efficace scansione più dilatata e rallentata. I riferimenti visuali che Miles Hyman enuclea dalla tradizione pittorica e figurativa statunitense sono efficacissimi: da Edward Hopper a Grant Wood – e in particolare al suo American Gothic – fino al più rassicurante Norman Rockwell, tutta la cultura grafica d’oltre oceano emerge, nei suoi aspetti colti e popolari, dall’iconografia, dai tratti somatici dei personaggi o dal marcato contrasto cromatico degli scenari. Anche la dirompente carica critica, sociale e politica, che tanto scandalo produsse all’uscita del racconto sul New Yorker nel 1948, resta immutata e torna anzi crudelmente attuale e provocatoria nell’America di Trump, anche in versione comics. Siamo sicuri che nonna Shirley assentirebbe sorridendo, compiaciuta dell’opera del nipotino: La lotteria non ha ancora finito di indispettire l’America.