Shifra Horn / Ecco giungere i dolori del Messia

Shifra Horn, Figlie di Gerusalemme, tr. di Silvia Pin, Fazi Editore, pp. 480, euro 20,00 stampa, euro 9,99 epub

Nella tradizione ebraica – ci spiega la traduttrice Silvia Pin, sottolineando il messaggio che apre uno dei capitoli del libro – esiste un’espressione legata agli “sconvolgimenti che accompagneranno la venuta del Messia”. Quando essa sarà compiuta, si sentiranno echeggiare le parole: Ecco giungere i dolori del Messia. L’espressione si adatta bene alla venuta in casa Abramovitch di un asino completamente bianco, che la tradizione ebraica profetizza essere il mezzo su cui giungerà il Messia. Tra le file della famiglia Abramovitch queste parole fatali non saranno mai udite, forse solo pensate o sussurrate, ma verranno incise nella genealogia famigliare che scriverà Alexandra, figlia della quarta generazione di Abramovitch gerosolimitani.

Figlie di Gerusalemme, ultima opera dell’autrice ebrea Shifra Horn, attraverso la voce di Alexandra traccia il profilo di un albero genealogico nato da un seme russo trapiantato – per casualità o destino? – in terra palestinese. Gershon Abramovitch si unì alla guerra di Crimea quando il diciannovesimo secolo era già a metà strada, guerra che vide i russi contro gli inglesi. In una battaglia sanguinosa per il fronte russo, Gershon fu trovato in fin di vita dagli inglesi: fingendo di aver combattuto per l’Impero inglese, venne rimesso in sesto come un suddito della corona e assunto come interprete dal console britannico James Finn a Gerusalemme. Proprio qui Gershon vide Shoshana per la prima volta, due timidi ragazzi pieni di sogni e speranze. Dopo aver ottenuto il permesso di sposare una figlia dell’orfanotrofio della pia Nadia Meyuchas, ben presto nacquero desideri di famiglia, di casa, di quotidianità. Da questi sogni venne al mondo Victoria.

Con Victoria si apre anche il racconto di Alexandra, la mano che tesse la storia delle sue antenate: la visione di una bambina di quattro anni che porge dei fiori all’erede al trono britannico appena ventenne, Albert Edward, durante una visita della corona inglese a Gerusalemme nel 1862. Trascorreranno molti anni prima che il fato li riunisca a Londra. Arriverà l’asino bianco del Messia e inizieranno anche i dolori, con l’uccisione di un soldato turco e la sentenza di morte per Gershon, poi scomparso nel deserto, e l’inizio dello spegnimento emotivo di Shoshana. Victoria parte per Londra con un invito da parte della moglie del console Finn senza indugiare troppo con lo sguardo rivolto al passato: saranno proprio le modernità e la mondanità della capitale a sedurre Victoria, facendola tornare a Gerusalemme con la neonata figlia Edwarda, figlia illegittima dell’erede al trono, cacciata dal Regno Unito tanto amato.

Anche Edwarda, chiamata a Londra molti anni più tardi, sarà una delle infermiere allieve di Florence Nightingale e dove si arruolerà come tale nella Prima Guerra Mondiale. Proprio al fronte incontrerà Alexander, un ufficiale neozelandese, futuro padre di Abigail. Qui il racconto di Alexandra sembra accelerare, senza indugiare con la fantasia usata in rami genealogici lontani e irraggiungibili – e senza indugiare troppo in assenze che sia la nonna Edwarda sia la madre Abigail vorrebbero allontanare. Ben presto il racconto di Alexandra prosegue nel binario che porta alla sua nascita, riuscendo a ottenere la verità che non le era ancora stata rivelata.

Così come Gershon disprezzava ogni forma di oppressione e dominio sui popoli, credendo che il Messia avrebbe portato con sé uguaglianza e unione, così Abigail si unisce in giovane età al Lehi, un organismo clandestino paramilitare infuso di ideologia antimperialista, nota anche con il nome di Banda Stern. Fu durante una missione di cattura di un agente della polizia segreta inglese che Abigail rimase incinta di Alexandra. Sia Gershon che Abigail, a diverse generazioni di distanza, lottano contro il dominio inglese sulla Palestina – così la linea delle ideologie sembra aver compiuto il suo percorso e il cerchio della famiglia Abramovitch aver ritrovato il proprio riflesso, dopo essere scivolato in esistenze più laiche con Victoria e Edwarda.

Horn scrive una storia dove nulla sembra scivolare nell’oblio della memoria ma permane nel sangue, generazione dopo generazione, come energia che scorre nelle vene e riconduce a casa, a Gerusalemme, nel cuore di chi è venuto prima di noi. Ripercorrendo gli sbagli e la forza che rimangono incastrati nella storia famigliare, la narrazione promette di essere un testamento per le future generazioni di Abramovitch, perse e rigenerate con il passare della Storia.