Gli occhi della terra raccoglie due racconti lunghi scritti da Shi Yifeng, scrittore non proprio di primo pelo, ma che sta facendo parlare di sé, in patria così come – più limitatamente – all’estero, grazie anche a uno stile che lo porta sovente a essere accomunato a Wang Shuo, autore spigliato (e sbracato) che, a detta dello stesso Shi Yifeng, riuscì a catturare lo spirito dell’epocale transizione cinese di fine anni ’80-inizio anni ’90. Ad accomunare i due racconti, infatti, oltre all’ottima traduzione di Martina Codeluppi, è un respiro da Bildungsroman, dove la crescita e l’evoluzione personale dei protagonisti si accompagna ai cambiamenti della società cinese nei decenni scorsi, fino al periodo più recente. Lo stile leggero e persino pop dei racconti li rende un agevole diversivo rispetto a opere più impegnate (e talvolta “pesanti”) della narrativa cinese contemporanea, senza che però questo tolga nulla al significato più profondo e alla vividissima fotografia della Cina dell’epoca messi in parole da Shi Yifeng.
Il primo racconto, che dà il titolo alla raccolta, ruota attorno a tre personaggi, due dei quali vengono introdotti proprio nell’incipit: “scalzacani conosciuti ai tempi dell’università”, An Xiaoan è “quello a cui era andata peggio”; Li Muguang, invece, “quello che se la passava meglio”. Il terzo, Zhuang Boyi, altri non è che il narratore, che funge peraltro da ponte tra i due: An Xiaoan, un retroscena famigliare difficile (padre deceduto, madre menomata dal lavoro sfiancante), è un brillante studente di elettronica, tormentato però dal cruccio di trovare un modo per invertire il declino morale della nazione cinese; Li Muguang è il classico figlio di papà, quasi la macchietta del rampollo annoiato e svogliato, che non a caso passa il tempo a dormire. Le vicende dei tre si intrecciano e sfilacciano nel corso degli anni, finché Zhuang Boyi ottiene un lavoro per lo squattrinato An Xiaoan presso l’impresa dei Li, dove però l’integerrimo amico troverà un modo per dare il proprio contributo al risanamento morale scoperchiando gli altarini della famiglia Li, tipico esempio di borghesia corrotta.
È quindi un racconto di formazione e di amicizia, nel quale i protagonisti sono sempre più costretti a confrontarsi con i compromessi della vita. Alla vicenda tutta cinese del ritorno delle guanxi (relazioni) intessute negli anni dell’università si sovrappone una riflessione sulla sostanza dei rapporti stessi: l’utilità personale, prodotta dalla società del mercato e dei consumi, sembra schiacciare un’agognata quanto introvabile autenticità, per concludersi con un finale incalzante un po’ stile thriller cinematografico hongkonghese.
Il secondo racconto, Chen Jinfang non è più a questo mondo, si incentra invece sulla figlia di una coppia di lavoratori migranti, trasferitisi dalle campagne in città in cerca di lavoro. La giovane Chen Jinfang subisce tutte le discriminazioni che questo comporta: è isolata e bistrattata da tutti i compagni per la sua povertà e il suo aspetto da campagnola, fatto reso ancora più insensato dal fatto che non è che le famiglie di questi ultimi navighino nell’oro. Solo il narratore, un vicino, riesce a costruire un rapporto con lei, basato su un involontario concerto “personale” di violino che le concede dalla propria finestra. Inizialmente dai tratti semi-dickensiani, la storia prende poi una svolta, diventando tutt’altro e raccontando una Chen Jinfang disposta a spingersi oltre ogni limite pur di affrancarsi da questa condizione e ottenere ricchezza e rispettabilità agli alti piani della società. Ancora una volta, però, Shi Yifeng porta chi legge a domandarsi quanto sia autentica l’apparente felicità conseguita e, soprattutto, quanto ne sia valsa la pena.
I racconti ripercorrono il diventare adulti insieme, il separarsi per poi ritrovarsi e lo straniamento dello scoprirsi trasformati e talvolta quasi irriconoscibili. In ciò, spostando il focus sull’erosione o la difficile sopravvivenza dei rapporti umani nella corsa al profitto personale. Gli occhi della terra si inserisce così in un filone di diverse traduzioni degli ultimi anni (autori come Lu Nei, Shuang Xuetao, Lu Min, quest’ultima per la stessa Orientalia) che mettono al centro le storie di chi viene lasciato indietro e del costo sociale (e psicologico collettivo) del sogno cinese.