Sex Worker is work e non solo

Durante le giornate del festival Pordenonelegge il Comitato Diritti Civili delle Prostitute, altre realtà collettive di sex worker, persone LGBT+, attivistƏ e cooperative sociali che si occupano anche della tratta delle prostitute hanno organizzato Pordenonefuorilegge. Una serie di dibattiti, mostra della fotografa Pia Ranzato, laboratori, aperizoccole e presentazione di libri.

sex worker sono in fila con noi al supermercato, aspettano una visita dal medico, sono le nostre figlie o figli, i nostri amici che aprono un profilo social e fanno sesso a pagamento, sono fra i nostri lettori o fra i nostri collaboratori. Forse ci è capitato di fare dei servizi di tipo erotico-sessuale senza accorgerci che in realtà stavamo lavorando gratis. La realtà dellƏ sex worker e naturalmente dei clienti ci riguarda e pensare il contrario è pura ipocrisia.

Cominciamo da lontano… Nel 1982 il teatro Verdi di Pordenone era strapieno di gente interessata e curiosa e altrettanta ce n’era nella piazzetta di fronte. Molti i giornalisti e fra i politici i socialisti e il Partito Radicale. Sedute al tavolo della presidenza due donne che sarebbero diventate molto famose, Pia Covre e Carla Corso, fondano insieme a un’altra ventina di donne prostitute e tre omosessuali, il Comitato Diritti Civili delle Prostitute.

Motore primo dell’evento furono i soldati americani della Base USAF e NATO di Aviano –  pochi chilometri dal centro di Pordenone – che il sabato, ubriachi e sentendosi padroni, importunavano ed avevano atteggiamenti violenti con le prostitute (e anche con le altre ragazze della zona a dire il vero).

Le prostitute con non poco coraggio decisero che ne avevano abbastanza e – dopo aver scritto pubblicamente al comando della Base e non aver ricevuto risposta  – presero parola pubblica rivendicando a gran voce i propri diritti civili e politici.

Lucciole in lotta a cura di Maria Adele Teodori pubblicato nel 1986 racconta appunto la storia dei primi anni del Comitato, e contiene le proposte di legge per modificare la legge Merlin del 1958 che ancora oggi è la normativa principale che regola la prostituzione in Italia.

Non è la prima volta che una lucciola diventa nota, che se ne racconta la biografia vera o romanzata, che si pubblicano scritti e saggi sulla prostituzione o sulle loro lotte. Ad esempio erano passati pochissimi anni da quando le prostitute di Parigi avevano occupato una chiesa per protestare contro una legge particolarmente repressiva nei loro confronti.

La cosa eccezionale in un Paese bigotto come era ancora l’Italia di quegli anni è che non solo Carla, Pia e le altre rivendicano pubblicamente di essere delle puttane ma individuano la prostituzione come lavoro.

Il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute in questo modo raccoglieva e faceva proprie due lezioni fondamentali del femminismo della seconda ondata. Da una parte l’autodeterminazione delle donne, dall’altra quella delle femministe-marxiste che evidenziavano  come il lavoro domestico non pagato fosse essenziale per il mantenimento del sistema capitalista  e come la prostituzione, in questo contesto, fosse un’estensione della stessa logica di sfruttamento economico e sessuale delle donne.

Pia Covre e Carla Corso. Foto di anonimo

Ritratto a tinte forti (Giunti pp. 294, 1991) autobiografia di Carla Corso messa in forma da Sandra Landi, fu allora un’opera dirompente (tradotto in altre lingue e ristampato molte volte) in cui Carla rivendica non solo la propria scelta ma anche il piacere di fare questo lavoro. Stiamo parlando di un’epoca in cui le donne – come dice Carla Corso – passavano di mano in mano agli uomini – prima eri figlia, poi moglie, poi madre, o sorella… ma non eri mai una donna libera. Quella di Carla è quindi una fuga e una diserzione da un ruolo prestabilito. Come moltissime altre donne anche le lucciole affermano “il corpo è mio e me lo gestisco io” e nessuno può decidere per me cosa ne voglio fare, né lo stato, né la famiglia né la morale pubblica o altre agenzie come la chiesa o la polizia del buon costume. Ma i rapporti con le femministe saranno fin dall’inizio problematici e ancora oggi lavoro sessuale e posizioni di certe aree femministe sono spesso su sponde opposte, anche in relazione al problema delle donne trafficate e della punizione dei clienti.

Venezia 2001, foto @Pia Ranzato

Dopo gli anni ‘90 tutto diventa più complicato e più fluido: anche la prostituzione si globalizza, le identità e gli scambi sessuali proliferano, il sex worker – come il lavoro in genere – diventa ancora più precario, le forme della prestazione sessuale tra reale e virtuale diventano sfumate, i confini da una parte scompaiono dall’altra si moltiplicano. Con le prostitute straniere il traffico dei corpi irrompe con forza nella prostituzione.

Già nel 2013 sempre Carla Corso – con Ada Trifirò – scrive il saggio …e siamo partite! Migrazione, tratta e prostituzione straniera in Italia (Giunti)  in cui si offre una interpretazione del fenomeno della tratta diversa rispetto a quella dominante che è molto spesso vittimizzante se non francamente razzista e xenofoba. Il libro dimostra – attraverso le interviste – che le donne straniere che si prostituiscono hanno progetti, speranze, ambizioni a cui non voglio rinunciare, quella che oggi viene chiamata e riconosciuta come agency.

Sulle donne trafficate ci sono due libri importanti che nascono uno dalla esperienza di Trieste e racconta la storia del progetto Stella Polare 20 anni di rotta e anti tratta e uno edito dalla casa editrice femminista Vita Activa che invece ripercorre l’esperienza pugliese di Libera Libere. Due progetti che già nel nome “definiscono la volontà politica di restituire alla donne libertà e diritti, di far ri-prendere in mano il loro progetto di vita”.

Se invece vi capita fra le mani il libro SW+S (Sex Work Più Sicuro) lavorate nel sesso o siete una persona molto in contatto e solidale con questo mondo perché il libro non è in vendita (viene distribuito manualmente o durante eventi) ed è una vera e propria guida multilingue sui diritti e con consigli rivolti esplicitamente a chi già lavora nell’industria del sesso. La guida, il sito dove scaricarla e l’applicazione sono fatte e redatte dal collettivo Swipe (acronimo di Sex Worker Intersectional Peer Education). La guida colpisce per la quantità di sapere, intelligenza prudente e dettagli che implica fare il lavoro sessuale in sicurezza.

Corpi invisibili (cioè, che non vogliamo vedere) (Becco Giallo, pp. 128) intende i corpi come soggetti situati socialmente e politicamente in contesti precisi che ne determinano il valore e la legittimità a esistere o meno e in quale forma.

Il libro è molto bello sia per l’impaginazione colorata che per le illustrazioni di Chiara Mela, Meo e Sonno. Il testo, scritto dalla attivista trans/femminista Antonia Caruso ha la capacità di dire tutte le cose giuste in modo leggero seppur non sempre ottimista. Quanto di più lontano dalla scrittura accademica di ambito femminista che a volte diventa addirittura respingente per quante sottigliezze e puntini sulle i contiene. Proprio per questa freschezza che non è mai ingenuità il libro sarebbe giusto anche per essere letto e discusso in classe.

Durante le giornate di Pordenonefuorilegge è stata presentata anche la rivista clamorosƏ a cura del collettivo La Falla nato 10 anni fa all’interno de Il Cassero di Bologna che è stata la prima comunità gay italiana. Il numero uno contiene una intervista a Pia Covre che ci racconta in modo accurato come è cambiata la prostituzione in Italia dai tempi della fondazione del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute.

Prostitute in rivolta. La lotta per i diritti delle sex worker (Tamu editore, 2022 pp. 429) è un libro molto interessante, radicale e onesto che ha un unico difetto: non ha un indice, il che grava non poco sulla lettura visto il numero di pagine e l’interesse degli argomenti trattati.  In compenso ha una bibliografia internazionale davvero imponente.
Le autrici, Molly Smith & Juno Mac, due attiviste sex worker inglesi, decostruiscono gli stereotipi da una parte della “prostituta felice” dall’altra della “vittima da salvare”, riflettendo sulla complessità del lavoro sessuale nel contesto del sistema capitalistico, patriarcale e coloniale. Evidenziano che la maggior parte delle persone che fanno sesso a pagamento sono donne e la quasi totalità dei clienti uomini. Attraverso una prospettiva transfemminista, mettono in evidenza le dinamiche di potere, marginalizzazione e sfruttamento. Inoltre affrontano argomenti delicati come la violenza, l’uso di droghe e il “sesso di sopravvivenza”. Le politiche repressive (compreso il famigerato modello svedese sostenuto dal femminismo punitivo che penalizza i clienti) espongono di fatto le lavoratrici del sesso a gravi rischi, soprattutto le migranti senza documenti, poiché queste politiche non solo intensificano la precarietà delle loro vite, ma anche la loro esposizione ad abusi e sfruttamenti, rendendo più difficile per loro denunciare tali abusi alle autorità senza il rischio di essere arrestate ed espulse.

Se il libro è molto severo e polemico con la vittimizzazione delle donne, la repressione e il femminismo ‘carcerario’ evita anche la trappola della romanticizzazione del lavoro della sex worker, che attraverso la così detta sex-positive legata all’empowerment del femminismo liberale rischia di minimizzare i problemi, la fatica, lo sfruttamento. Un segno dei tempi cambiati che ci porta molto lontani dal libro di Carla Corso di cui sopra.

L’obiettivo è mostrare come il sex work, come ogni altra forma di lavoro, non sia intrinsecamente buono o cattivo, ma condizionato dalle possibilità di rivendicare diritti e protezioni sociali.​

Secondo le autrici e il collettivo italiano Ombre rosse, che ha curato la postfazione, l’unica via per proteggere davvero le sex worker e non spingerle in condizioni di maggiore insicurezza è la decriminalizzazione, un po’ come ci indica la legislazione della Nuova Zelanda, anche se anche in quel caso – secondo le autrici – non tutte le donne e specialmente le migranti e le povere ed emarginate hanno le stesse possibilità.


L’ombrello rosso – simbolo mondiale delle sex worker – è nato dall’incontro fra il Comitato dei Diritti Civili delle Prostitute e l’artista Tadej Pogaçar durante la Biennale di Venezia del 2001