Un sentore di catastrofe permea le pagine di Gente d’agosto di Sergej Lebedev, romanzo che esplora l’orizzonte opaco della Russia post-sovietica. La citazione in apertura è la cifra della narrazione, l’indizio che può guidare il lettore nel labirinto narrativo. “Quando il destino ci tallonava come un pazzo con il rasoio in mano” scrive a conclusione di Primi incontri Arsenij Tarkovskij, poeta grandissimo e negletto per l’ostilità del regime, padre del regista Andrej. Il libro, infatti, attinge alle atmosfere rarefatte del cinema di Tarkovskij, perennemente costellato da muri sbrecciati e paesaggi nebbiosi, attraverso i quali si fa strada la struggente nostalgia del ricordo. Un luogo incerto nel quale l’essenza sovietica si manifesta improvvisa come un odore di pane appena sfornato che rimanda all’infanzia, una sensazione che trascende gli orpelli imposti dalla retorica trionfalistica e monumentale.
Il punto di partenza è fornito dal diario della nonna, nel quale è narrata la storia della famiglia prima della rivoluzione. Un testo nel quale i silenzi, la misteriosa figura del nonno Michail ad esempio, appaiono più importanti degli enunciati. L’interesse di Lebedev si sposta a poco a poco sul periodo di crisi che segue lo sfacelo dell’Unione Sovietica. Anni tormentati, durante i quali rinnovate aspirazioni libertarie e creative convivono con una rabbiosa violenza. Anni che ci aiutano a comprendere le tragedie del presente. Lo scrittore ravvisa la vera colpa nella mancanza di ravvedimento, nella ripetizione continua dei medesimi errori. Il perdono cede di fronte alle tentazioni dell’odio.
Partendo da labili indizi, il protagonista intraprende una vera e propria ricerca nel mondo dei morti. Il suo è un viaggio attraverso spazi aggrediti dalla disintegrazione, all’interno dei quali le persone vengono inghiottite. Voraci meccanismi della storia. I dissidenti scompaiono, cancellati dalla memoria, precipitati nel nulla. L’URSS è un organismo elefantiaco che vive di destini spezzati, di confische e ingiustizie. Quando crolla, l’utopia di essere finalmente affrancati dalla sua eredità si rivela fallace. “Il Paese, come un organismo distrofico, iniziava a divorare sé stesso”. Addentrandosi nel cuore di tenebra del territorio russo, il protagonista incontra lo Zar dei cani, annidato in una indicibile devastazione. Enigmatico come Kurtz di Conrad, vive in un regno inattingibile esercitando il proprio tirannico potere, sfruttando il proprio ascendente sui cani utilizzati in un’ex colonia penale per la caccia agli evasi. Un mondo oscuro, nel quale si manifesta inevitabile l’orrore. Stanco di seguire le tracce di persone scomparse, il protagonista si dedica alla ricerca di un mammut che qualcuno aspira clonare, simbolo di un passato cristallizzato nei ghiacci ma pronto a emergere di nuovo dalle nebbie del tempo.
La deflagrazione dell’Unione Sovietica non è foriera di riscatto. La storia si ripete. Le guerre cecene, con il loro carico di morti e di tragedia, segnano la storia recente. I soldati immortalati nella pellicola di un qualche documentario sfilano come fantasmi, perché molti di loro avranno già perso la vita mentre quelle immagini scorrono di fronte agli occhi dello spettatore. Un’escursione nell’ucraina L’vov sembra additare la guerra futura (il libro risale al 2015). “La città intera faceva l’effetto di una soffitta con vecchi mobili affastellati: bastava spostarne uno perché venissero giù tutti”. Squarci che, come inquietanti presagi, avvolgono la narrazione. L’antica paura determina il futuro. “La carne della vita era infettata in maniera dolorosa, le antiche offese erano di fatto degli ordigni innescati”. Dal caos imperante emerge una figura di leader. “L’uomo dal cognome telegrafico simile a uno pseudonimo che terminava in “in” – come Lenin e Stalin –, proveniente dal kgb… ecco che di colpo aveva spiccato il volo”. Il resto è attualità. I vecchi meccanismi cigolanti si rimettono in moto. “Il passato era tornato e toccava conviverci”. Gli eventi che si credevano trascorsi sono incredibilmente vicini. La sorveglianza è ovunque, mentre il desiderio di fuggire si rivela totalmente utopico. Allora non si può far altro che rivivere il passato, in un’eterna ripetizione che è il destino più atroce dell’uomo.