È dai piccoli editori, estranei o marginali rispetto alle logiche pretestuosamente commerciali dei grandi, che di solito arrivano le proposte letterarie più originali e interessanti. È il caso di Arcoiris, casa editrice di Salerno specializzata in letteratura latinoamericana classica e contemporanea. Sotto la sua egida, in parallelo rispetto alla linea editoriale principale, sono state varate due collane da seguire con attenzione. La prima, che già conta quasi una decina di titoli, è La biblioteca di Lovecraft, curata da Jacopo Corazza e Gianluca Venditti, e dedicata, come si evince dal titolo, alla narrativa fantastica, horror e weird. La seconda, che ha appena iniziato il suo già molto promettente percorso, è Trema, curata da Emanuela Cocco, “collana di letteratura nera, raccapricciante, fantastica, inquietante, fantasmatica”, riservata agli autori italiani (ma la prima uscita include anche un argentino) e ispirata, volume per volume, dalle atmosfere o dalle tematiche di film classici e indimenticabili dell’horror, del noir e del weird.
Usciti quasi in contemporanea ed entrambi introdotti da una (come sempre) intrigante prefazione di Franco Pezzini – ormai confermato, anche dall’aspetto simpaticamente in bilico fra Mazzini e Marx, Apostolo del Gotico italiano – l’ultimo volume de La biblioteca di Lovecraft e il primo di Trema, sono dedicati rispettivamente ad Aleister Crowley e a Picnic a Hanging Rock.
Il settimo volume de La biblioteca di Lovecraft infatti, come già il secondo (I racconti della Bestia, 2019), raccoglie alcune delle numerose opere di narrativa breve del famigerato Magus inglese. Se però il precedente era una libera scelta dei curatori fra i molti e vari racconti di Crowley, questo secondo volume traduce invece una silloge unitaria di testi scritti intorno al 1916, sotto lo pseudonimo di Mark Wells, per The International – la rivista statunitense di cui fu editor – che Aleister avrebbe dovuto pubblicare in un volume a suo nome nel 1930 ma che uscirà solo molti decenni dopo, nel 1988. Si tratta di Golden Twigs, I ramoscelli d’oro, otto racconti ispirati da e dedicati a James G. Frazer e al suo classico The Golden Bough: A Study in Magic and Religion, cioè Il ramo d’oro, monumentale opera del 1890 considerata testo fondativo dell’antropologia culturale.
Calcando le orme di Frazer, Crowley può così sbizzarrire le sue più sfrenate fantasie neopagane in racconti come Il re del bosco, che ripropone il tema chiave dell’opera frazeriana, il sacrificio del re del bosco di Nemi; o come La pietra di Cibele, in cui la visione del ritorno degli antichi dei, ci riporta alla presunta rivelazione del Liber Legis, il testo sacro di Thelema, la religione di cui Crowley si considerava il profeta; o ancora La messa di Saint Sécaire, in cui l’immaginario satanista e il rito blasfemo della crocifissione di un rospo rimandano al Là-bas di J. K. Huysmans; o come nell’ultimo Il Dio di Ibreez, in cui l’esperienza estetica/estatica della morte sperimentata dalla sacerdotessa protagonista replica nel racconto i rituali di lucidità eroto-comatosa praticati nell’Ordo Templi Orientis, il gruppo di magia sessuale in cui Crowley militava. Come giustamente evidenzia Pezzini, il neopaganesimo crowleyano resta remoto da qualsiasi consolatoria filosofia new-age ed evoca piuttosto il feroce immaginario Folk Horror di film come The Wicker Man (1973) di Robin Hardy.
E proprio dal cinema trae ispirazione Ritorno a Hanging Rock, il volume che inaugura la nuova collana Trema, e riprendendo il tema della sparizione, della trasformazione e della metamorfosi dallo storico film di Peter Weir, Picnic at Hanging Rock, raccoglie tredici racconti di giovani autori contemporanei intercalati dalle opere grafiche di due altrettanto giovani e talentuosi illustratori, Cristiano Baricelli e Sergio Caruso. Curata e selezionata da Emanuela Cocco, scrittrice che già si è fatta notare per un notevole romanzo, Tu che eri ogni ragazza (Wojtek Edizioni, 2018), la raccolta comprende testi di Claudio Kulesko, Vins Gallico, Fabio Massimo Franceschelli, Pierluca D’Antuono, Silvia Tebaldi, Sergio Gilles Lacavalla, Sara Mazzini, Christian di Furia, Matteo Macchia, Ornella Soncini, Lucrezia Pei, Lucia Ghirotti, Domenico Caringella e l’argentino Ariel Luppino (tradotto da Francesco Verde). Tutti quanti provenienti da multiformi esperienze letterarie nell’ambito dei blog e delle riviste d’avanguardia: narrativa, poesia, drammaturgia o saggistica per conto di editori come Nero, Wojtek, Fandango, e simili. Del tutto estranei quindi all’asfittico mondo del fandom degli appassionati di horror, fantasy o fantascienza, degli editori specializzati (e, nella maggior parte dei casi – salvo lodevoli eccezioni – improvvisati), dei frequentatori di Convention: un microcosmo o un ghetto in cui tutti si conoscono, si leggono, si lodano e si premiano fra amici e in cui non esiste alcun criterio oggettivo di qualità ma regna sovrano il dilettantismo e il nepotismo militante. Quando sento parlare di antologie di autori italiani contemporanei, in genere, metto mano alla pistola: non è questo il caso per fortuna. Una salutare boccata d’aria fresca che, mi auguro, resterà intatta nel proseguimento della collana. Da notare anche la qualità grafica, l’impaginazione, il lettering e la copertina di Claudia D’Angelo.
Un invito quindi al lettore: cercare, trovare e scoprire queste invitanti proposte al di fuori dei percorsi più ovvi e delle vie più battute.