All’uscita del libro è scattato un passa parola che, per un esordio, non si sentiva da tempo. In questo modo la favola ideata e scritta da Patrizia de Luca, architetta napoletana residente a Roma, dove lavora come ricercatrice presso l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, si è candidata a diventare un piccolo oggetto di culto anche per chi, abitualmente, non frequenta i libri e la lettura. Qual è il segreto? Probabilmente il gioco tra un titolo scherzoso e ammiccante e una vicenda che, in apparenza, si può sintetizzare in poche righe.
Al cospetto di una collina (a forma di tetta) sorge un piccolo paese dal nome inequivocabile, Tettiano. Le donne che sono nate in questo borgo, e lo abitano, sono dotate di seni che possono stregare qualsiasi uomo che abbia avuto l’ardore o l’occasione di vederli nudi. I seni possono anche uccidere o comunque far morire. Insomma, un potere di vita e di morte talmente implacabile che, una volta lasciata percepire la dinamica drammatica e mortifera, la narrazione prosegue verso la forma della favola nera.
Ecco in breve sintesi di cosa parla Tettagna, una favola che viene presentata come proposta che cambia le regole della realtà poiché sono i maschi a essere minacciati dal corpo delle donne. Non è chiaro a cosa ci si riferisca, ma certamente non sono pochi gli antropologi e le filosofe femministe che fanno risalire la nascita del patriarcato, tra le altre molte concause, proprio all’intenzione dei maschi di neutralizzare e controllare il potere molto temuto del corpo delle donne. Basti pensare al mito della vagina dentata diffuso in alcune popolazioni che dette spunto a Freud per formulare il concetto di “complesso di castrazione”.
Ma con Tettagna non ci troviamo di fronte a un trattato di antropologia culturale né di psicoanalisi, anche se la storia sfiora entrambe le discipline. Le donne di Tettiano si devono impegnare per mantenere la forza della loro “magica” prerogativa. Per questo, periodicamente, si recano sulla collina a cogliere delle erbe officinali che usano anche per nutrire le loro figlie in modo che, una volta incinte, possano fare nascere a loro volta solo ed esclusivamente figlie femmine.
Il ruolo centrale della storia raccontata da Patrizia de Luca è costituito dall’erboristeria del paese (naturalmente) e della donna che l’ha in gestione, tale Ziella che conserva segreti e qualche mistero sulle vicende affettive delle paesane. Come tutti e come è normale che sia, anche loro sono travolte da passioni e sentimenti, e può capitare che si accompagnino a uomini sposati oppure ancora che sposino uomini perché in grado di portarle via, a vivere fuori del paese, con buona pace dei sentimenti di un’amica e della “vocazione” del luogo di nascita.
La solidarietà femminile può vacillare, un orribile omicidio si compie sotto forma di incidente stradale. La maternità si trasferisce dalla madre naturale a una madre adottiva. I legami e le relazioni continuano a intrecciarsi, il potere avvinghiante dei seni muliebri di Tettiano non risolve i problemi delle relazioni amorose e, in definitiva, possono essere necessarie soluzioni drastiche per uscire dal corto circuito in cui ci si trova.
Ad attraversare queste vicende e questa vita è Elsa che conosciamo da giovanissima, quando ancora non è “signorina”, accompagnandoci fino al termine del libro.
Elsa vuole fortissimamente essere donna. Si rammarica dei suoi seni ancora piccoli rispetto a quelli delle amiche che, intorno a lei, crescono e si sviluppano più rapidamente. Elsa è anche la donna più libera con cui il lettore fa la conoscenza. Ha un rapporto risolto con il corpo e ha idee abbastanza chiare sulle sue relazioni. Elsa vive con una certa serenità la forza la propria forza seduttiva, supera di slancio le convenzioni e gli obblighi che governano il paese e la dose giusta d’incoscienza (a tratti inconsapevole) tanto da non farsi turbare dalle conseguenze dovute a scelte che si riverberano anche su chi le vuole bene.