Una fanciulla emerge dal buio della morte. Ingrid, creduta erroneamente estinta, viene riportata in vita da un musicante divenuto folle, sorta di moderno Orfeo al quale è affidato il compito di salvarla dalle potenze infere. Come nel film Ordet di Dreyer, il miracolo si manifesta nel quotidiano. Nel Violino del pazzo la scrittrice svedese Selma Lagerlöf, prima donna a essere insignita del premio Nobel nel 1909, mette in scena una vicenda dal sapore arcano e fiabesco. Il valzer del Franco cacciatore di Weber, prototipo del Singspiel romantico, ammanta la vicenda con vapori di zolfo. La musica stessa emana fumi diabolici. Vi è qualcosa di sovrannaturale nel violino di Gunnar Hede, strumento che sembra in grado di suonare da solo, trascendendo la volontà del protagonista.
La vicenda è ambientata in lande leggendarie, dove ogni cosa è simbolo e rimanda a un mondo “altro”. Antichi manieri fatiscenti ne punteggiano il paesaggio. Venditori ambulanti e saltimbanchi percorrono le sue contrade, come in una pellicola di Bergman. Ingrid vive nel regno delle fantasticherie, mentre Gunnar precipita nella follia. Un percorso iniziatico li farà incontrare, sino al coronamento del loro amore.
Con stile limpido e assolutamente Ottocentesco, Lagerlöf tocca tematiche complesse di grande suggestione. La follia del protagonista è timore di affrontare la realtà, rifugio in una dimensione inattingibile. Viene in mente la vicenda di Hölderlin, geniale lirico tedesco progressivamente consegnato all’abbandono e alla trascuratezza, recluso per decenni in una torre a Tubinga. L’inquietudine romantica non poteva trovare incarnazione più suggestiva. L’opera di Lagerlöf è anche una storia di spettri. Madama Cordoglio appare come una sorta di angelo della morte, pronta a occupare le stanze del maniero con il suo stuolo di pipistrelli avvolti nelle loro ali come in mantelli neri. Thomas Bernhard in Perturbamento, con toni ben più brutali e inquietanti, descriverà l’assordante frastuono prodotto da un nugolo di uccelli turbati dalla morte del loro padrone, strangolati dai figli del mugnaio per porre fine alle loro grida foriere di pazzia. L’ombra di Edgar Allan Poe aleggia sul seppellimento prematuro di Ingrid, anche se invano cercheremo i toni terrifici dello scrittore americano nella prosa di Lagerlöf.
Vincere la paura per affrontare la vita, è questa la morale sottesa al lungo racconto. Le dicotomie che animano la vicenda, fra sanità e follia, fra luce e tenebra, trovano risoluzione nel sentimento d’amore. Il lieto fine riconduce la narrazione nel solco della fiaba, anche se le vicende trascorse non possono essere dimenticate, ma proiettano la loro ala oscura sulle nostre esistenze.