Giuliano Pesce, L’inferno è vuoto, Marcos y Marcos, pp 252, euro 18,00 stampa
…a Roma è il caos. Così si apre il nuovo romanzo di Giuliano Pesce, già autore per Marcos y Marcos di Io e Henry. L’amatissimo papa Goffredo, due volte Premio Nobel per la Pace si getta dal balcone del Vaticano, lasciando un biglietto che recita: “Non esiste alcuna verità; non esiste alcun dio. Ho ricevuto molto più amore di quello che ho donato, di questo vi ringrazio.”
In un romanzo mirabolante che si sviluppa in soli tre giorni, incontriamo un sacco di personaggi interessanti e bizzarri, a partire da Bara e Beccamorto che a dispetto dei nomignoli sembrano un duo comico, con le loro divise da becchini, il loro inseparabile carro funebre, presi come sono dai loro continui battibecchi sulla morte, e intenti a smaltire i cadaveri per conto del Cobra, capo indiscusso del traffico di droga e prostituzione nella capitale. Alberto Gasman, con una “s” come ci tiene a precisare lui, attore mancato e autista dei vip al soldo del Cobra, si ritrova invischiato nell’omicidio su commissione del cardinal Bianchetti, aspirante papa. Fabio Acerbi, che sogna di diventare un Grande Scrittore ma che invece lavora all’Ufficio vedove in cui si trattano i diritti degli scrittori defunti con le vedove appunto , in missione in incognito per conto di un Grande Editore, ha il compito di carpire quante più informazioni possibili dalle persone vicine al defunto pontefice per realizzarne un libro d’inchiesta. Arturo Tommasi, regista del docu-film sulla vita del papa, mandato dal Cobra per suoi interessi economici.
A tutta questa faccenda, già di per sé molto ingarbugliata, si aggiunge il commissario De Santis che deve tenere sotto controllo il traffico di turisti accorsi nella capitale per il fattaccio, trovare la pronipote del prefetto, e risolvere il caso di omicidio di don Quirico. La verità molto spesso inganna e a complicare ulteriormente le cose arriva la Rossa, una donna bellissima che scombinerà tutti gli equilibri, trasformando in esclamativi i punti interrogativi che si creano capitolo dopo capitolo.
Una scrittura cruda in una struttura narrativa raffinata e complessa, fanno di questo romanzo la lettura ideale. Una bomba ad orologeria pronta a scoppiare sulle pagine finali che arrivano in fretta, perché tutti vogliono indagare su questo strano suicidio, così poco ortodosso, e alla fine la scritta “fine” di lieto non ha proprio nulla.